Un’Italia capovolta...
La mutanda in testa
La politica si salva solo facendo politicadi Davide Giacalone - 14 febbraio 2011
Nel film “L’ultima donna”, di Marco Ferreri, il maschio trova espiazione nell’evirazione. Troppa impotenza a fronte di troppa liberazione femminile. Ho buone notizie per i maschietti del prossimo futuro: sono le donne (alcune, non esageriamo) a scendere in piazza, sentendosi offese dalle conseguenze della troppa libertà sessuale. Le vie del maschilismo, quindi, sono infinite. Le vie del moralismo ipocrita e senza etica, invece, sono sempre le stesse.
Nell’Italia capovolta, Giuliano Ferrara ha due meriti (fra gli altri): avere riconosciuto che siamo tutti in mutande, per giunta di pizzo, e il provare a spiegare che la politica si salva solo facendo politica. Non si creda che tale diagnosi s’attagli solo ad una parte politica, perché alla crapula dell’uno s’è congiunta la smania altrui d’aggrapparsi al perizoma dello scandalo. Al benpensante popolo dell’Italia moderata è stato imposto lo spettacolo bordellico di chi non ha saputo onorare la gravitas del ruolo, ma al progressista popolo della sinistra libertaria è imposta l’orrenda scena di chi scopre di dover dire alle donne cosa fare e non fare di quel che, da sempre e per sempre, è nella disponibilità degli individui.
Agli uni è stata sverginata l’ipocrisia dell’apparire, agli altri la sostanza dell’essere. Ciascuno faccia le proprie graduatorie, per quel che mi riguarda nulla è più ripugnate e pericoloso dell’etica di Stato, amministrata dal togato e perdonata dal tonacato.
L’impeto, la lucidità e la prosa sontuosa consentono a Ferrara di portare a casa un sicuro risultato: avere riequilibrato la bilancia delle immoralità, avere calzato il fantasioso slip come fosse un elmetto, con ciò stesso seminando il panico nelle file delle beghine smutandate, intese non come femmine lascive e conturbanti, ma come idee che da sempre sognano d’essere possedute da un bruto pompato (meglio se ricco) e cui tocca, invece, acconciarsi a campare con qualche fallito, spompato e mantenuto. Quella che mi preoccupa è la seconda parte del suo sforzo, destinata a far tornare sulla scena la politica. Ho l’impressione che sarà più complicato ottenere qualche successo.
La maggioranza ha aperto la riffa costituzionale, estraendo dal sacchetto il numero di articoli costituzionali di cui si propone l’immediata riforma. Laddove, purtroppo, non solo non se ne farà nessuna, ma ove mai ve ne fosse l’opportunità ci si dovrebbe concentrare su quelli che determinano l’architettura istituzionale, oramai diroccata. L’opposizione s’incarna in materia politica inconsulta, a metà strada fra il fascismo giustizialista e la propensione all’esproprio, tenendosi in equilibrio con l’antimateria degli interessi, degli affari e dei legami inconfessabili.
Se vanno al governo uniscono materia e antimateria, annichilendosi all’istante. Mentre volano i pizzi e taluno si lascia condurre con i collant a mo’ di collare, punti sembrano nelle condizioni d’indicare la faccenda più rilevante: dove sono finiti i nostri servizi di sicurezza? quanto tutto questo si lega al dossier energia, quanto agli affari che ci vengono soffiati (e che talora soffiamo) in giro per il mondo? Il cretino obietta: questa è dietrologia. Ma va là, questa sarebbe politica, se esistesse, ovvero l’adattarsi delle idee e degli ideali alla realtà reale, fatta d’interessi in conflitto fra di loro.
Come si fa a far politica se si definiscono “bolscevichi” i giudici costituzionali, consentendo al loro presidente, Ugo De Siervo, di replicare stizzito? Si sente offeso, dice. Ma guardi, signor presidente, lei non è un cosacco, ma è lei che offende noi e la Costituzione, è lei che non dovrebbe essere al suo posto, è lei che ha calpestato la Carta che dovrebbe difendere, con la complicità dei predecessori e dei colleghi, nonché dei successori che rimarranno in carica qualche settimana, per rilasciare analoghe e insulse dichiarazioni. Ma come si fa a prendersela con un De Siervo se nessuno ti ascolta quando queste cose le prevedi (noi, qui, con anni d’anticipo) e ad alcuno frega un accidente?
Sicché, alla fine, è giunto il momento d’ammetterlo: siamo dei depravati. Gente che non ha nulla in comune con il burlesque borgataro che ci circonda, che vive effettivamente fra vecchi libri, che giunge alla perversione di leggerli, ma che continua a detestare la falsità curiale, sia essa delle morbosità parrocchiali o delle sacrestie rosse (di vergogna), al punto da non esitare a indossare il pizzo.
Che comprende il nesso fra questa blasfema santa inquisizione e la demolizione dei diritti individuali. Credo che molti la pensino così, che buona parte degli italiani lo avvertano. Credo anche, però, che potremmo aspirare a qualche cosa di meglio.
Pubblicato da Il Tempo
Nell’Italia capovolta, Giuliano Ferrara ha due meriti (fra gli altri): avere riconosciuto che siamo tutti in mutande, per giunta di pizzo, e il provare a spiegare che la politica si salva solo facendo politica. Non si creda che tale diagnosi s’attagli solo ad una parte politica, perché alla crapula dell’uno s’è congiunta la smania altrui d’aggrapparsi al perizoma dello scandalo. Al benpensante popolo dell’Italia moderata è stato imposto lo spettacolo bordellico di chi non ha saputo onorare la gravitas del ruolo, ma al progressista popolo della sinistra libertaria è imposta l’orrenda scena di chi scopre di dover dire alle donne cosa fare e non fare di quel che, da sempre e per sempre, è nella disponibilità degli individui.
Agli uni è stata sverginata l’ipocrisia dell’apparire, agli altri la sostanza dell’essere. Ciascuno faccia le proprie graduatorie, per quel che mi riguarda nulla è più ripugnate e pericoloso dell’etica di Stato, amministrata dal togato e perdonata dal tonacato.
L’impeto, la lucidità e la prosa sontuosa consentono a Ferrara di portare a casa un sicuro risultato: avere riequilibrato la bilancia delle immoralità, avere calzato il fantasioso slip come fosse un elmetto, con ciò stesso seminando il panico nelle file delle beghine smutandate, intese non come femmine lascive e conturbanti, ma come idee che da sempre sognano d’essere possedute da un bruto pompato (meglio se ricco) e cui tocca, invece, acconciarsi a campare con qualche fallito, spompato e mantenuto. Quella che mi preoccupa è la seconda parte del suo sforzo, destinata a far tornare sulla scena la politica. Ho l’impressione che sarà più complicato ottenere qualche successo.
La maggioranza ha aperto la riffa costituzionale, estraendo dal sacchetto il numero di articoli costituzionali di cui si propone l’immediata riforma. Laddove, purtroppo, non solo non se ne farà nessuna, ma ove mai ve ne fosse l’opportunità ci si dovrebbe concentrare su quelli che determinano l’architettura istituzionale, oramai diroccata. L’opposizione s’incarna in materia politica inconsulta, a metà strada fra il fascismo giustizialista e la propensione all’esproprio, tenendosi in equilibrio con l’antimateria degli interessi, degli affari e dei legami inconfessabili.
Se vanno al governo uniscono materia e antimateria, annichilendosi all’istante. Mentre volano i pizzi e taluno si lascia condurre con i collant a mo’ di collare, punti sembrano nelle condizioni d’indicare la faccenda più rilevante: dove sono finiti i nostri servizi di sicurezza? quanto tutto questo si lega al dossier energia, quanto agli affari che ci vengono soffiati (e che talora soffiamo) in giro per il mondo? Il cretino obietta: questa è dietrologia. Ma va là, questa sarebbe politica, se esistesse, ovvero l’adattarsi delle idee e degli ideali alla realtà reale, fatta d’interessi in conflitto fra di loro.
Come si fa a far politica se si definiscono “bolscevichi” i giudici costituzionali, consentendo al loro presidente, Ugo De Siervo, di replicare stizzito? Si sente offeso, dice. Ma guardi, signor presidente, lei non è un cosacco, ma è lei che offende noi e la Costituzione, è lei che non dovrebbe essere al suo posto, è lei che ha calpestato la Carta che dovrebbe difendere, con la complicità dei predecessori e dei colleghi, nonché dei successori che rimarranno in carica qualche settimana, per rilasciare analoghe e insulse dichiarazioni. Ma come si fa a prendersela con un De Siervo se nessuno ti ascolta quando queste cose le prevedi (noi, qui, con anni d’anticipo) e ad alcuno frega un accidente?
Sicché, alla fine, è giunto il momento d’ammetterlo: siamo dei depravati. Gente che non ha nulla in comune con il burlesque borgataro che ci circonda, che vive effettivamente fra vecchi libri, che giunge alla perversione di leggerli, ma che continua a detestare la falsità curiale, sia essa delle morbosità parrocchiali o delle sacrestie rosse (di vergogna), al punto da non esitare a indossare il pizzo.
Che comprende il nesso fra questa blasfema santa inquisizione e la demolizione dei diritti individuali. Credo che molti la pensino così, che buona parte degli italiani lo avvertano. Credo anche, però, che potremmo aspirare a qualche cosa di meglio.
Pubblicato da Il Tempo
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