Spending Review
La missione di Bondi
Pd e Pdl aiuteranno Bondi nel suo lavoro di taglio degli sprechi pubblici? Non è che non mi piacciano i miracoli, è che faccio fatica a credercidi Davide Giacalone - 04 maggio 2012
La sorte del governo, quindi anche di questa anomala stagione istituzionale, è nelle mani di Enrico Bondi. Il commissario con cui il governo commissariale ha deciso di commissariarsi. La scommessa è quella di effettuare tagli della spesa pubblica in tempi e misura tali da potere evitare, il prossimo settembre, di far crescere di altri due punti l’iva, bastevoli per aggravare la recessione e far salire esponenzialmente la pressione sociale.
Temo che tale scommessa sarà fallita, ma credo anche che sarebbe meglio fosse vinta. Quindi va preso sul serio, il lavoro assegnato a Bondi. I trascorsi professionali di Bondi sono eccellenti, ma incongruenti: lo Stato non è un’azienda e la spesa pubblica non ha nulla a che vedere con il bilancio societario.
La continuità che si chiede a Bondi, quindi, consiste non tanto nell’esperienza già fatta, ma nell’autonomia e non condizionabilità già dimostrate. Sono sicuro che tali qualità resisteranno alla prova, lo sono meno che portino al risultato auspicato. Ma lo spero. Teniamo i piedi per terra e cerchiamo di capire cosa e come si può fare, valutandone anche le conseguenze politiche.
La spesa pubblica ammonta (dati 2011) a 820 miliardi. 87 se ne vanno per pagare gli interessi sul debito pubblico. Tale cifra è destinata a crescere, sia perché il debito non si comprime, sia perché i mercati continuano a penalizzarci e la camicia di forza di un euro non governato c’impedisce la difesa, quindi paghiamo tassi d’interesse alti. Per tagliare questa spesa c’è un solo modo: abbattere il debito pubblico. Farlo aumentando la pressione fiscale è suicida, ma anche inutile.
La fiscalità forsennata fa scendere produzione e consumi, deprime il prodotto interno lordo e, quindi, fa crescere il peso percentuale del debito. La via sana è quella di vendere il patrimonio pubblico non adeguatamente valorizzato e non essenziale. E’ enorme, il che ci permetterebbe non solo di sdebitarci, rientrando nella media europea, ma di accumulare risorse per investimenti pubblici in infrastrutture, con il doppio beneficio di modernizzare il Paese e far crescere il pil. Fin qui non s’è visto nulla, sicché restiamo in pochi a parlarne.
Tolti gli oneri del debito, meno della metà della spesa rimanente se ne va in pensioni e sussidi ai bisognosi. Si può pensare di togliere qualche sussidio mal indirizzato, si può cancellare qualche invalidità inesistente, si può fare pulizia (che è un bene), ma gran risparmi non se ne fanno. Resta l’altra parte, più della metà, all’incirca il 24% del pil, che è composto da spese fisse: stipendi e acquisti.
Posto che la spesa per investimenti è ridotta al lumicino, dato che quando i governi devono tagliare non fanno che accanirsi su quella voce (oramai sono rimasti 36 miliardi), il grosso del lavoro si deve fare sui costi fissi. E qui sono dolori.
Da tempo vado sostenendo che si devono cambiare regole del gioco, lasciando al mercato il compito d’amministrare convenientemente anche risorse dirette a scuola, sanità, giustizia, ecc.. Temi sui quali torneremo, perché da lì, dal bisogno di far dimagrire il ciccione statale, anche ridiscutendo il welfare, non si scappa. Ma restando nello schema attuale, né è credibile che Bondi possa cambiarlo da qui a settembre (gli hanno dato poteri commissariali, mica imperiali e globali), tagliare significa mettere lì le mani.
Tenuto presente che le due componenti si reggono a vicenda: più hai dipendenti, più paghi in stipendi, più paghi in strutture e acquisti con i quali occuparli. E’ il mostro statale: più è grosso, più ti costa, più accrescere funzioni, soffocando quelli che producono ricchezza, siano essi imprenditori o lavoratori. Il Pdl non è stato capace di tagliare questa spesa, riformando la macchina statale. E’ una responsabilità politica, per niente attenuata dall’avere avuto in seno componenti schiettamente stataliste o scioccamente federaliste. Però, almeno, quella parte politica si diceva teoricamente favorevole a un simile indirizzo.
Il Pd, invece, non solo non è mai stato favorevole, ma quando un suo esponente, Nicola Rossi, si spinse a ragionare di questi temi lo misero alla porta. Ora, voi volete dirmi che, da qui a settembre, il Pd è pronto a favorire una politica di tagli nel settore stipendi e acquisti, così invertendo la propria posizione e dando torto ai sindacati, in primis alla Cgil? Non è che non mi piacciano i miracoli, è che faccio fatica a crederci.
Tutto ciò senza dimenticare che i tagli devono servire a diminuire la pressione fiscale, altrimenti il loro effetto è recessivo. Meno delle tasse, ma comunque recessivo. Davide Giacalone
Temo che tale scommessa sarà fallita, ma credo anche che sarebbe meglio fosse vinta. Quindi va preso sul serio, il lavoro assegnato a Bondi. I trascorsi professionali di Bondi sono eccellenti, ma incongruenti: lo Stato non è un’azienda e la spesa pubblica non ha nulla a che vedere con il bilancio societario.
La continuità che si chiede a Bondi, quindi, consiste non tanto nell’esperienza già fatta, ma nell’autonomia e non condizionabilità già dimostrate. Sono sicuro che tali qualità resisteranno alla prova, lo sono meno che portino al risultato auspicato. Ma lo spero. Teniamo i piedi per terra e cerchiamo di capire cosa e come si può fare, valutandone anche le conseguenze politiche.
La spesa pubblica ammonta (dati 2011) a 820 miliardi. 87 se ne vanno per pagare gli interessi sul debito pubblico. Tale cifra è destinata a crescere, sia perché il debito non si comprime, sia perché i mercati continuano a penalizzarci e la camicia di forza di un euro non governato c’impedisce la difesa, quindi paghiamo tassi d’interesse alti. Per tagliare questa spesa c’è un solo modo: abbattere il debito pubblico. Farlo aumentando la pressione fiscale è suicida, ma anche inutile.
La fiscalità forsennata fa scendere produzione e consumi, deprime il prodotto interno lordo e, quindi, fa crescere il peso percentuale del debito. La via sana è quella di vendere il patrimonio pubblico non adeguatamente valorizzato e non essenziale. E’ enorme, il che ci permetterebbe non solo di sdebitarci, rientrando nella media europea, ma di accumulare risorse per investimenti pubblici in infrastrutture, con il doppio beneficio di modernizzare il Paese e far crescere il pil. Fin qui non s’è visto nulla, sicché restiamo in pochi a parlarne.
Tolti gli oneri del debito, meno della metà della spesa rimanente se ne va in pensioni e sussidi ai bisognosi. Si può pensare di togliere qualche sussidio mal indirizzato, si può cancellare qualche invalidità inesistente, si può fare pulizia (che è un bene), ma gran risparmi non se ne fanno. Resta l’altra parte, più della metà, all’incirca il 24% del pil, che è composto da spese fisse: stipendi e acquisti.
Posto che la spesa per investimenti è ridotta al lumicino, dato che quando i governi devono tagliare non fanno che accanirsi su quella voce (oramai sono rimasti 36 miliardi), il grosso del lavoro si deve fare sui costi fissi. E qui sono dolori.
Da tempo vado sostenendo che si devono cambiare regole del gioco, lasciando al mercato il compito d’amministrare convenientemente anche risorse dirette a scuola, sanità, giustizia, ecc.. Temi sui quali torneremo, perché da lì, dal bisogno di far dimagrire il ciccione statale, anche ridiscutendo il welfare, non si scappa. Ma restando nello schema attuale, né è credibile che Bondi possa cambiarlo da qui a settembre (gli hanno dato poteri commissariali, mica imperiali e globali), tagliare significa mettere lì le mani.
Tenuto presente che le due componenti si reggono a vicenda: più hai dipendenti, più paghi in stipendi, più paghi in strutture e acquisti con i quali occuparli. E’ il mostro statale: più è grosso, più ti costa, più accrescere funzioni, soffocando quelli che producono ricchezza, siano essi imprenditori o lavoratori. Il Pdl non è stato capace di tagliare questa spesa, riformando la macchina statale. E’ una responsabilità politica, per niente attenuata dall’avere avuto in seno componenti schiettamente stataliste o scioccamente federaliste. Però, almeno, quella parte politica si diceva teoricamente favorevole a un simile indirizzo.
Il Pd, invece, non solo non è mai stato favorevole, ma quando un suo esponente, Nicola Rossi, si spinse a ragionare di questi temi lo misero alla porta. Ora, voi volete dirmi che, da qui a settembre, il Pd è pronto a favorire una politica di tagli nel settore stipendi e acquisti, così invertendo la propria posizione e dando torto ai sindacati, in primis alla Cgil? Non è che non mi piacciano i miracoli, è che faccio fatica a crederci.
Tutto ciò senza dimenticare che i tagli devono servire a diminuire la pressione fiscale, altrimenti il loro effetto è recessivo. Meno delle tasse, ma comunque recessivo. Davide Giacalone
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.