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Public Policy

Una classe dirigente bollita

La miopia politica

Quella che si sta vivendo in Italia è la crisi esiziale della seconda Repubblica

di Davide Giacalone - 15 novembre 2010

A forza di prevedere si rischia di non vedere. Si commissionano i sondaggi elettorali, quando un salto al bar è meno costoso e più istruttivo. Quel che si muove nell’opinione pubblica è comprensibile, mentre quel che si muove nella politica dei palazzi è dissennato.

Abbiamo il non invidiabile privilegio di assistere alla contemporanea crisi del governo e del sistema istituzionale. Non capita sovente e non è una bella cosa. Il governo specifico è quello di Silvio Berlusconi, ma la tipologia è data dall’essere frutto di false vittorie elettorali, ottenute mettendo assieme coalizioni composte da soggetti distanti, quando non incompatibili. Vale a destra come a sinistra. Il sistema è quello descritto dalla Costituzione della prima Repubblica, immutata nella struttura e sfregiata in molte sue parti. La distanza fra la lettera e la prassi, approfonditasi con la fine del sistema elettorale proporzionale, è oramai una voragine.

La sintomatologia elettorale consiste nel deperimento d’ambo i partiti potenzialmente governanti, a vantaggio degli sfasciacarrozze. E’ il modo pacifico, adottato dai cittadini, per mandare a farsi benedire una classe politica dominante che ha stufato.

Al bar nessuno crede che Antonio Di Pietro possa mai essere un buon governante. Lo sgrammaticato sbruffone serve solo a punire una sinistra inadatta a governare, come anche a fare l’opposizione. Sicché gli mettono dei voti in contanti, dentro una scatola da scarpe, e glieli consegnano per rabbia e dispetto. Nessuno, al medesimo bancone, esprime consenso personale per Gianfranco Fini, semmai ammirazione per il volteggiare dal duce al cavaliere, per poi abbracciare la libertà, da un divorzio all’altro, nel mentre difende il sacro valore della famiglia.

Nessuno si farebbe governare da uno che le idee le beve fresche di giornata, come le uova, e le elimina in preda ad incontinenza programmatica. Uno così non crede in niente e nulla coltiva. Ma non dispiace che abbia fatto un gran pernacchio ad un governo che pretendeva di dire che tutto andava bene, eravamo i migliori del mondo e ci mancava poco dovessimo dare ripetizioni private ai governanti del globo. Morale: gli elettori stufi delle alternative reali premiano gli sberleffi. Non è detto lo facciano anche nelle urne, ma una cosa è sicura: ne hanno le balle piene.

Noi, scrivendo, proviamo ad essere freddi e razionali, sforzandoci di aiutare gli altri a capire. E questo è quel che vedo: la nostra classe dirigente è complessivamente bollita. Sono vecchi e incapaci, risvegliandosi solo per regolare conti del passato. Vanno ricoverati. Il fatto è che manca il ricambio, perché il Paese è fermo, inchiodato, incapace di guardare realisticamente alle opportunità e alle difficoltà, rimpiattato per non vedere le nubi nere che s’addensano all’orizzonte del nostro debito pubblico.

Dall’impresa alle professioni, dall’arte alla politica, il nostro è un Paese di famiglie e camarille, dove i successori neanche sperano d’allargare i dominii degli avi, accontentandosi di camparci sopra. Torniamo alla politica. Perché accade? Perché mancano sia i partiti che le istituzioni, manca il tessuto democratico vero, sostituito da una parodia personalistica e isterica. Mi spiegate dove dovrebbe avvenire il ricambio? I leader degli schieramenti non possono essere messi in minoranza, perché sono i proprietari dei partiti.

Si possono solo fondare nuovi partiti, di cui divenire proprietari a propria volta. La potenziale eternità della loro elezione e della loro ambizione fa sì che nessuno è disposto ad immaginare successori. Negli Stati Uniti il Presidente ha due mandati, in Inghilterra ci sono i partiti, come in Germania, in tutti questi sistemi non basta vincere, occorre anche pensare a cosa accade dopo la propria uscita di scena. Da noi no, si esce solo per morte naturale e gli unici eredi sono i figli. Guardate le imprese, la politica, le cattedre, le professioni.

Non è così? Ci s’è incaponiti a difendere le rendite, con gli albi e le misure anticoncorrenziali, amministrati dai falliti d’ogni professione (a cominciare dai giornalisti), talché si è prodotto un sistema capace solo di conservarsi senza funzionare e competere. Non si tratta solo del sistema elettorale. Quello è un dettaglio, assai meno rilevante e decisivo di quel che tanti trinariciuti propagandisti credono di sapere e s’affannano a raccontare. Va cambiato il sistema istituzionale: si eleggano governi cui si consegnino poteri veri, ma si ponga un limite temporale alla durata di chi ci siede. Potere, competenza, ricambio.

Chi farà queste riforme? Chi si accorgerà di qual è la reale alternativa: il passaggio dal declino al degrado e dal degrado al disfacimento, in un moltiplicarsi di odio e cattiveria, alimentati dall’invidia sociale e dalla rabbia degli esclusi. Non si tratta di prevedere, ma di vedere. Ora si voti, reincanalando le acque esondanti. Ma la vera partita politica, quella che resterà nella storia, la vince chi riesce ad avere il coraggio d’indicare il problema vero, senza perdersi nelle miserie di cui egli stesso è frutto.

Pubblicato da Libero

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