Salvati dai francesi
La miopia della Bonino sull'atomica iraniana
Il negoziato va bene purché gli iraniani rinuncino al nucleare militare. Bene che la Francia abbia fatto saltare il tavolodi Davide Giacalone - 13 novembre 2013
L’accordo con l’Iran e l’attenuarsi delle sanzioni, nei termini in cui erano stati definiti, sarebbero stati una tragedia. Un micidiale colpo all’Occidente. In grado di spostare Israele verso l’interlocuzione con la Russia e di scatenare una corsa al riarmo atomico. Perché è escluso che i mussulmani non arabi e sciiti si dotino dell’arma nucleare e quelli arabi e sunniti stiano a guardare. I francesi hanno fatto bene a far saltare il tavolo, rendendosi interpreti di preoccupazioni ben presenti anche nel Regno Unito. Mentre l’unica attenuante del governo italiano è la sua irrilevanza (purtroppo), resa più grave, mi spiace dirlo, da un ministro degli esteri, Emma Bonino, che volta le spalle a Israele e ammette che si possa fare un accordo che non preveda esplicitamente la rinuncia al nucleare aggressivo. Ancora la settimana scorsa la televisione iraniana trasmetteva un’animazione nella quale si simulava l’attacco missilistico atomico contro Israele, ottenendone, come da anni chiedono, la cancellazione dalla carta geografica.
Il negoziato va bene, naturalmente, purché le parti condividano il punto d’arrivo: la rinuncia iraniana al nucleare militare. Non è compatibile con questo obiettivo l’ultimazione della costruzione della centrale di Arak, come non è compatibile il “diritto all’arricchimento dell’uranio”, rivendicato da Teheran. Quello che non è stato firmato è un testo che lasciava agli iraniani troppo tempo. E il tempo è decisivo, perché già fra qualche mese nella centrale di Arak si troverà plutonio arricchito, rendendo pericolosissimo, se non impossibile, un bombardamento che la distrugga. Ecco perché impressiona l’affermazione del ministro Bonino, che interrogata (dal Corriere della Sera) sulla sua previsione circa la fine del programma nucleare iraniano, dice: “non lo so, ma è prudente e ragionevole andare a vedere le carte”. Ripeto: il negoziato va sempre bene, ma lasciare del tempo è la cosa meno prudente e ragionevole che ci sia, perché fra qualche mese quelle carte saranno radioattive. Aggiunge Bonino: “c’è tutto il tempo per spiegarlo a Israele”. No, non c’è tempo, perché fin qui la sicurezza di Israele dagli attacchi nucleari è stata conquistata mediante la distruzione preventiva dei reattori ostili (si ricordi Osirak, funzionale alle minacce dell’iracheno Saddam Hussein).
Laurent Fabius, il ministro degli esteri francese (già capo del governo socialista, presidente Mitterrand), ha violato il protocollo, rendendo pubblico il dissenso francese. Ha fatto bene. Subito dopo il segretario di Stato statunitense, John Kerry, ha detto che quella francese non è una posizione isolata, ma rispecchia le preoccupazioni dei governi democratici. Meglio. Il fatto è (e Kerry lo sa bene, visto che dissentì dal tentennare di Obama) che la vicenda siriana ha lasciato un brutto strascico. In quel caso il fronte occidentale si sbriciolò, con i soli francesi pronti a un intervento armato, il governo inglese messo in minoranza e la presidenza Usa pencolante. Sulla Siria il solo soggetto le cui parole corrisposero ai fatti fu Putin, che ne difendeva il governo, anche per meglio metterlo sotto la propria tutela. Lì c’è un punto di svolta, non bella.
In Siria si giocava anche l’influenza iraniana. Non a caso per l’attacco erano non solo gli israeliani, ma anche l’Arabia Saudita. E fu quella lezione a mettere fianco a fianco israeliani e sauditi, entrambe tenuti a un dialogo con la Russia. Se ora non si ferma il programma nucleare iraniano si spingeranno gli arabi sunniti a correre anch’essi verso la bomba atomica e gli israeliani a trattare con Putin il fermo, anche mediante bombardamento, all’Iran. Un capovolgimento della politica statunitense e delle alleanze mediorientali, con un aumento di peso della Russia. E’ questo che vogliamo? Fortunatamente i francesi ci hanno messo una zeppa. Magari lo hanno fatto anche per ripicca, restituendo agli Usa il cattivo servizio siriano.
Ci sono soluzioni alternative? Certo: il programma nucleare iraniano può continuare per fini civili, il che comporta l’accettazione del vincolo per cui l’arricchimento del materiale fissile avviene fuori dai loro confini (quello per uso civile è diverso da quello per bombe). Negoziare significa tenere presenti molti aspetti, variando i quali cambiano le convenienze di ciascuno. Ma quel punto deve restare fermo, altrimenti non è un negoziato, ma un cedimento. Un cedimento che porta squilibrio e insicurezza. Un cedimento che porta le armi atomiche ostili dietro l’uscio di casa nostra.
Leggo in giro rammarico per l’esito infausto della trattativa (che riprenderà). Non so se prevalga l’ignoranza dei suoi termini o la furbizia affaristica. So che abbiamo appena sfiorato l’incubo dell’atomica fondamentalista.
Il negoziato va bene, naturalmente, purché le parti condividano il punto d’arrivo: la rinuncia iraniana al nucleare militare. Non è compatibile con questo obiettivo l’ultimazione della costruzione della centrale di Arak, come non è compatibile il “diritto all’arricchimento dell’uranio”, rivendicato da Teheran. Quello che non è stato firmato è un testo che lasciava agli iraniani troppo tempo. E il tempo è decisivo, perché già fra qualche mese nella centrale di Arak si troverà plutonio arricchito, rendendo pericolosissimo, se non impossibile, un bombardamento che la distrugga. Ecco perché impressiona l’affermazione del ministro Bonino, che interrogata (dal Corriere della Sera) sulla sua previsione circa la fine del programma nucleare iraniano, dice: “non lo so, ma è prudente e ragionevole andare a vedere le carte”. Ripeto: il negoziato va sempre bene, ma lasciare del tempo è la cosa meno prudente e ragionevole che ci sia, perché fra qualche mese quelle carte saranno radioattive. Aggiunge Bonino: “c’è tutto il tempo per spiegarlo a Israele”. No, non c’è tempo, perché fin qui la sicurezza di Israele dagli attacchi nucleari è stata conquistata mediante la distruzione preventiva dei reattori ostili (si ricordi Osirak, funzionale alle minacce dell’iracheno Saddam Hussein).
Laurent Fabius, il ministro degli esteri francese (già capo del governo socialista, presidente Mitterrand), ha violato il protocollo, rendendo pubblico il dissenso francese. Ha fatto bene. Subito dopo il segretario di Stato statunitense, John Kerry, ha detto che quella francese non è una posizione isolata, ma rispecchia le preoccupazioni dei governi democratici. Meglio. Il fatto è (e Kerry lo sa bene, visto che dissentì dal tentennare di Obama) che la vicenda siriana ha lasciato un brutto strascico. In quel caso il fronte occidentale si sbriciolò, con i soli francesi pronti a un intervento armato, il governo inglese messo in minoranza e la presidenza Usa pencolante. Sulla Siria il solo soggetto le cui parole corrisposero ai fatti fu Putin, che ne difendeva il governo, anche per meglio metterlo sotto la propria tutela. Lì c’è un punto di svolta, non bella.
In Siria si giocava anche l’influenza iraniana. Non a caso per l’attacco erano non solo gli israeliani, ma anche l’Arabia Saudita. E fu quella lezione a mettere fianco a fianco israeliani e sauditi, entrambe tenuti a un dialogo con la Russia. Se ora non si ferma il programma nucleare iraniano si spingeranno gli arabi sunniti a correre anch’essi verso la bomba atomica e gli israeliani a trattare con Putin il fermo, anche mediante bombardamento, all’Iran. Un capovolgimento della politica statunitense e delle alleanze mediorientali, con un aumento di peso della Russia. E’ questo che vogliamo? Fortunatamente i francesi ci hanno messo una zeppa. Magari lo hanno fatto anche per ripicca, restituendo agli Usa il cattivo servizio siriano.
Ci sono soluzioni alternative? Certo: il programma nucleare iraniano può continuare per fini civili, il che comporta l’accettazione del vincolo per cui l’arricchimento del materiale fissile avviene fuori dai loro confini (quello per uso civile è diverso da quello per bombe). Negoziare significa tenere presenti molti aspetti, variando i quali cambiano le convenienze di ciascuno. Ma quel punto deve restare fermo, altrimenti non è un negoziato, ma un cedimento. Un cedimento che porta squilibrio e insicurezza. Un cedimento che porta le armi atomiche ostili dietro l’uscio di casa nostra.
Leggo in giro rammarico per l’esito infausto della trattativa (che riprenderà). Non so se prevalga l’ignoranza dei suoi termini o la furbizia affaristica. So che abbiamo appena sfiorato l’incubo dell’atomica fondamentalista.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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