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Public Policy

Pericolose le riconversioni di stagione

La mano trendy del mercato

Dall’Antitrust a Mario Draghi: il piacere di essere liberal. Ma la politica resta debole

di Enrico Cisnetto - 14 luglio 2006

L’Antitrust che, in sintonia con il ministro Bersani, accredita l’idea che le “liberalizzazioni sono di sinistra”. L’autorità per l’Energia che torna ad accusare Enel ma soprattutto Eni di “posizione dominante”. Il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che rimarca i distinguo da Antonio Fazio dicendo ai banchieri “fate voi” per quanto riguarda accordi e fusioni. Grazie anche al decreto su tassisti e altre corporazioni, da qualche giorno assistiamo ad una vera e propria esplosione del concetto di mercato e dei suoi valori: è tutto un florilegio di politici, economisti, giornali, presidenti di autorità varie, che scorprono quanto sia trendy essere liberal. Bene. In un paese costruito sui privilegi corporativi e di mentalità statalista anche nel privato, una ventata di concorrenza non può che far bene. Ma come ho scritto più volte, le improvvise conversioni (a parole) nascondono sempre risvolti pericolosi. Specie se esse si manifestano in una stagione, come questa, caratterizzata dalla “politica debole” e dal (correlato) “pensiero debole”. Voglio dire che Draghi fa bene se cancella ogni traccia di quell’eccesiva discrezionalità che portò il suo predecessore a sbagliare, ma fa male se arriva al punto di rinunciare alle prerogative e responsabilità che fanno della banca centrale qualcosa di più e di diverso dalle altre autorità del mercato. Ed è evidente che se i banchieri non solo non hanno approfittato del suo invito a fondere gli istituti per evitare l’arrivo degli stranieri, ma addirittura si mostrano spaccati nel nominare il nuovo vertice dell’Abi (cosa inedita e che travalica la normale dialettica), ciò vuol dire che la via virtuosa e condivisa al risiko non è praticabile, e sarebbe un atto di irresponsabilità, verso il sistema bancario e verso il Paese, da parte della Banca d’Italia non farsene carico.
Già da questo primo esempio, si evince la necessità di non affrontare la questione del mercato e della concorrenza in chiave formal-ideologica, ma guardando i singoli casi nel dettaglio e tenendo bene a mente che il fine ultimo è l’interesse generale. Altrettanto vale per l’Antitrust. A suo tempo avevo salutato la nomina di Antonio Catricalà come una salutare ventata di pragmatismo. Finora ha tenuto fede alle aspettative, soprattutto evitando di criminalizzare le grandi imprese – di cui il nostro capitalismo ha fame – solo perché qualcuno le chiama “poteri forti”. Ma non vorrei che il fascino del “tango liberista” che stiamo ballando lo seducesse. Non vorrei, per esempio, che finisse per fare eco al suo collega Alessandro Ortis quando, dalla plancia dell’Authority per l’Energia, continua a reclamare che l’Eni ceda subito Snam Rete Gas perché “controlla l’85% della produzione nazionale, l’approvvigionamento estero, lo stoccaggio e la vendita finale”. Vista in questi termini, la questione parrebbe fondata. Ma, proprio nel giorno in cui il petrolio è arrivato a 76 dollari costringendoci a ipotizzare una fattura petrolifera più cara del 35% rispetto al 2005 (30 miliardi di euro contro 22,23), è bene dirci che le cose vanno viste con un altro paio di occhiali. Si consideri che, pur essendoci stata in tutto il mondo una forte spinta a usare il gas per produrre elettricità, noi siamo l’unico paese che ha una quota del 60%. Ebbene, finchè ce n’era una disponibilità pressoché illimitata a prezzi bassi, e considerato che abbiamo sciaguratamente cancellato il nucleare e mostrato diffidenza verso il carbone, l’impiego massiccio del gas è stata una scelta logica, anche se non certo lungimirante. Ma ora, in un contesto di mercato radicalmente cambiato – si pensi che mille metri cubi di gas nel 1998 costavano 60 euro, nel dicembre 2005 mediamente 465 e il future a gennaio 2007 è già a 500 euro – con enormi aspettative di fabbisogno incrementale (circa 200-220 miliardi di metri cubi) e con il duo Gazprom-Sonatrach che, come si è dimostrato lo scorso inverno, è in grado di stabilire flussi e prezzi, credere (e far credere) che il nostro problema sia quello della concorrenza sul mercato interno è davvero una follia. Diciamocelo chiaro: di fronte al comportamento dei fornitori, grandi società oligopolistiche pubbliche di paesi a “democrazia limitata”, i processi di liberalizzazione sui quali abbiamo puntato si rivelano inefficaci. Ci vuole una nuova strategia, di dimensione almeno europea. E costringere l’Eni a vedere la Snam - così come aspettarsi che Arpe e Passera, Profumo e Bazoli, si mettano d’accordo - non solo non serve, ma è pure controproducente. Con buona pace dei liberisti da strapazzo.

Pubblicato sul Foglio del 14 luglio 2006

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