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Public Policy

D’Alema irritato dalla missiva dei diplomatici

La lettera e la politica estera

Ci sollecitano a rimanere in Afghanistan. Per il Dipartimento di Stato è un atto legittimo

di Davide Giacalone - 06 febbraio 2007

Massimo D’Alema ha un bell’irritarsi per la lettera con cui sei diplomatici di altrettanti Paesi alleati ci sollecitano a restare in Afghanistan, giacché si tratta di un atto del tutto legittimo, per giunta riconosciuto come utile ed opportuno dal Dipartimento di Stato. Piuttosto si dispiaccia per il modo maldestro con cui ce la siamo tirata addosso. Già, perché due cose sono chiare ed indiscutibili: a. la missione in Afghanistan continua; b. la base di Vicenza sarà ampliata. Il governo italiano è riuscito ad aprire un pubblico scontro al suo interno su due scelte cui, comunque, non sarebbe potuto sfuggire. Due scelte giuste, per giunta. Il guaio di quel dibattito, però non è tanto la sua inutilità, quanto la sua duplice funzione rivelatrice.

Da una parte, come si è visto al Senato, esiste in Parlamento una larghissima maggioranza che condivide le scelte che a questo governo è toccato compiere, ma ciò non può tradursi in un altrettanto vasto sostegno, come sarebbe auspicabile, perché la maggioranza preferisce definirsi tale solo se autosufficiente, quindi solo se … minoranza, in politica estera. Per metterci una pezza cercano oggi di far riferimento al tomazzo del programma elettorale dove, però, come evidenziammo a suo tempo, sono insalsicciate un sacco di parole inutili sull’Europa, ma non si dice nulla di preciso e vincolante sui rapporti atlantici e sull’ossequio alle decisione dell’Onu, ivi comprese le missioni di pace. Categoria nella quale doveva ricomprendersi anche la missione irachena, sulla quale i candidati della sinistra dissero con chiarezza che erano favorevoli al ritiro, il che non rappresenta un buon precedente per potere governare la crisi attuale. Dall’altra si mette in ancora maggiore evidenza che i due problemi aperti, quelli che creano tanto dolore e rivelano opposte vedute di politica estera, sono effettivamente minori, essendo di maggior rilievo sia i rapporti con Iran e Siria, di cui restiamo assai esposti partner commerciali, che la pretesa “equivicinanza” fra i terroristi di Hezbollah ed il legittimo e democratico governo d’Israele. Un Paese che tentenna sull’ovvio è un alleato pericoloso laddove prende le distanze dall’occidente democratico proprio nei settori e sui temi più caldi.

Ancora per qualche settimana il nostro non sarà l’unico grande governo europeo a manifestare una forma inquietante di allergia alla solidarietà ed alleanza fra democrazie, visto che per ancora qualche tempo Chiraq eserciterà la sua influenza sulla politica estera francese. Ma presto quella pagina sarà girata, con gran beneficio per l’Europa. In Germania è già avvenuto, mentre nessun cambiamento inglese potrà mettere in discussione il “rapporto speciale” con gli Usa. Anziché irritarsi, dunque, il governo italiano farebbe bene a valutare il significato della firma rumena in calce alla lettera, e a domandarsi come mai potrà continuare a tenere una posizione da disallineamento titino dal giorno in cui non siederà più all’Eliseo quel grande statista che non considera un sacrificio impossibile il bombardamento atomico d’Israele e la conseguente cancellazione di qualche abitato iraniano.

www.davidegiacalone.it

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