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Renzi nuovo segretario PD

La lentezza che può uccidere

I comunisti non perdono oggi, ma persero sempre, perdendo il coraggio delle idee e conservando le poltrone

di Davide Giacalone - 11 dicembre 2013

La cosa più facile da dirsi, tant’è che l’abbiamo detta tutti, è che con l’arrivo di Matteo Renzi, alla segreteria del Partito democratico, la sinistra rompe (finalmente) l’ancoraggio con la storia comunista. Vero, ma non è affatto scontata la portata della rottura. Né che sia definitivamente tale. Una cosa è la storia del comunismo e dei comunisti italiani, altra il radicamento del blocco sociale di cui furono espressione e cui restituirono protezione. Da questo punto di vista c’è da tenere conto del fatto che le regioni rosse, dove regge il blocco sociale, sono quelle in cui Renzi prende più voti.

Renzi è il primo, a rompere veramente. Prima di lui non incarnarono la rottura né Dario Franceschini (ora renziano, prima democristiano, ma subito dopo l’arrivo alla guida del partitone di sinistra immediato interprete di mitologie e iconografie del mondo comunista, compreso il giuramento sulla Costituzione, inevitabilmente “nata dalla Resistenza”, cosa che non è), né Guglielmo Epifani (che era socialista, ma anche capo della Cgil, sindacato a maggioranza comunista, nonché consegnatosi alla Fiom, rossa per antonomasia). Nessuno può chiedere a Renzi di rinnegare un’ideologia di miseria e oppressione, perché la cosa non lo riguarda. E, del resto, il fatto che se ne parli ancora, nel 2013, è il più clamoroso fallimento della classe dirigente che fu comunista, dato che i D’Alema, i Veltroni, i Bersani e compagnia stonante non sono stati capaci di chiudere una storia, che era anche quella di ciascuno di loro. Essi non perdono oggi: persero sempre, perché persero il coraggio delle proprie idee e della propria storia.

E’ un errore, però, credere che gli eredi di quella storia si debba cercarli solo fra i votanti per Gianni Cuperlo. Quelli potremmo definirli “nostalgici”, ma di una stagione che interamente condivisero con i tanti Peppone che da tempo vedono il pericolo dell’estinzione e si rivolgono al sindaco di Firenze per garantirsi la sopravvivenza. Non è affatto un caso che, nel discorso d’investitura, Renzi non abbia risparmiato critiche alla Cgil, perché sa che quella partita è ancora aperta. E sa che quegli avversari deve sconfiggerli ora, altrimenti sarà lui a uscirne cotto. Saprà fare altrettanto con le Coop? Saprà dire che l’interesse del consumatore è che ci sia concorrenza, sicché le licenze per l’apertura dei supermercati, nelle regioni rosse, non possono più servire per bloccarla? Oltra a Cavalli e ai finanzieri, farà visita anche a Capriotti? Renzi ha la stoffa per sparigliare, non ci rinunci.

La nostra politica è terribilmente lenta. I comunisti spariscono venticinque anni dopo il crollo del muro di Berlino e quaranta dopo la loro cancellazione dal resto delle democrazie europee. La lentezza è il vero nemico di Renzi. Osservi quel che sta succedendo nelle piazze. Ricordi di non avere potuto mettere piede a Genova, bloccata dai lavoratori dell’azienda trasporti (contro una privatizzazione che era falsa). Avverta il consenso di molti attorno alle piazzate di pochi. Percepisca il modo in cui il malumore e la paura si stanno spostando contro l’euro (e non che ne manchino le ragioni, ma manca la lucidità dell’interesse nazionale), così come contro tutto e contro tutti. A cavalcare questa roba si fa presto, cadendo prestissimo nel baratro. Per contrastarla servono scelte riconoscibili, nette e prudenti. Nel senso di togliere lestamente molta greppia ai lestofanti. Renzi non è partito lunedì, corre da tempo. E quella in cui si trova è una tappa intermedia. La lentezza può cancellarlo. La stabilità di un governo inesistente è l’esatto contrario di quel che serve. Credo lo sappia.

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