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Ma chi eleggiamo (si fa per dire) dopo Berlusconi?

La legge elettorale e il vuoto

Le anomalie di sistema sono aggravate ma non create dalla crisi finanziaria

di Elio Di Caprio - 06 ottobre 2011

La crisi incombe e noi non sappiamo chi eleggere. Se non più Berlusconi che ha fatto il suo tempo, forse Alfano? O Bossi, o Di Pietro, o Vendola, o lo stesso Bersani o altri personaggi , purchè giovani, che passa il convento? Verrebbe da dire che non è l’Italia bloccata, ma è in crisi il sistema democratico se non fosse pericoloso e anche riduttivo parlare di crisi della democrazia nella sola Italia dal momento che da più parti dell’occidente sviluppato ci si interroga su quali pericoli corra la democrazia in sè - legge elettorale italiana o il conflitto di interessi di Berlusconi sono ben piccola cosa a confronto- per le conseguenze di un capitalismo finanziario incontrollato che sembra giunto al capolinea dei suoi fasti precedenti ed ora crea più disagi sociali e divaricazioni crescenti che ricchezza da distribuire.

Pensatori e analisti delle più diverse provenienze si domandano se a questo punto la politica possa continuare ad avere il primato sull’economia e sul mercato almeno all’interno dei confini nazionali e se il Mercato esterno con la M maiuscola e le agenzie di rating finanziario non stiano diventando il padrone di tutti noi condizionando l’esistenza materiale e individuale di ciascuno. Forse siamo entrati in un’epoca di impoverimento e di recessione generale che non riguarda solo il nostro Paese in cui di sovrani sono rimasti più i debiti e i fondi finanziari che gli Stati. Ma è ormai evidente, nonostante gli equilibrismi acrobatici del Ministro Tremonti, che noi italiani siamo e saremo sempre più esposti ai ricatti della speculazione avendo un debito pubblico più alto degli altri. A meno che... ma poi basterebbe un nuovo presidente del consiglio e una nuova maggioranza, ora o tra un anno e mezzo, a invertire favorevolmente il corso delle cose, a farci uscire dall’imbuto del debito pubblico, ad aumentare insieme il PIL e la produttività?

Certo cambiare bisogna se non altro per testare meglio i voleri del corpo elettorale in un momento difficile e per porre fine alle incertezze ed ai dubbi ormai maggioritari sulle capacità dell’attuale classe politica a guidarci con un minimo di credibilità complessiva. Ma come e quando?

Siamo rientrati nel medesimo balletto preelettorale di fine 2007 quando - già allora- dopo la caduta del governo Prodi si affastellarono proposte e controproposte per andare alle urne con una legge elettorale nuova e diversa e poi non se ne fece niente. La differenza fondamentale rispetto alla fine della scorsa legislatura è che è ora alle porte l’ipotesi referendaria e acquista maggior forza l’appello all’opinione pubblica dopo le recenti prove di altri referendum che hanno comprovato l’insofferenza per un sistema diventato troppo chiuso ed inamovibile. Riuscirà la democrazia diretta là dove i partiti sembrano sordi al cambiamento? Ce lo auguriamo, ma vale la pena domandarsi perché siamo giunti a questo punto, perché si è dovuto persino scomodare il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a ricordarci che è necessaria una nuova legge elettorale per ristabilire il giusto circuito tra eletti ed elettori.

A ben guardare anche quest’ultima è un’anomalia che non ha riscontro in altri Paesi europei : è la confessione che la nostra Costituzione vuole equilibrare poteri che non ci sono, non ha dato e non dà potere a nessuno, né al Capo dello Stato e né alla Corte Costituzionale di impedire o fermare in tempo una legge come il Porcellum che da due legislature dà una pessima prova di sé e pur non essendo formalmente anticostituzionale ha privato i cittadini del diritto di scelta dei suoi rappresentanti e ha dato il potere alla minoranza più forte che non a caso traballa da più di un anno.

Il Presidente della Repubblica si lamenta di avere solo il potere di “moral suasion” che però negli ultimi tempi viene per fortuna declinato in maniera più incisiva di prima ( ma quando negli anni precedenti il Presidente Cossiga provò ad andare oltre per poco non finì imputato di attentato alla Costituzione), il Presidente del Consiglio dal canto suo si ritiene inamovibile e anch’egli si lamenta di non avere neppure il potere di scegliere i Ministri e sciogliere le Camere, il Parlamento dei nominati è ridotto ad approvare più decreti leggi dell’Esecutivo con voti di fiducia a ripetizione che leggi di iniziativa parlamentare e per giunta è l’oggetto passivo del contendere su come debba e possa essere ridotto nel numero dei suoi componenti.

Ma allora chi ha “vero” potere in Italia, i partiti come sempre o, come avviene da anni, il “Capo” eletto a maggioranza dagli inermi cittadini e la sua corte?
Certo questo è uno spettacolo interno che non ha alcuna rilevanza sui giudizi delle società di rating che declassano l’Italia per la sfiducia che possa rapidamente ridurre il debito pubblico, ma tutto si tiene quando si passa dalla crisi economia all’incapacità politica dell’attuale governo a rinsaldarsi o a fare posto ad una maggioranza allargata per rassicurare i mercati sulla volontà effettiva di uscire dall’immobilismo e di cambiare registro.

Teniamoci pure le nostre diatribe quotidiane tra processo breve e processo lungo, tra chi vuole il Mattarellum e chi invece vorrebbe un sistema elettorale ancora maggioritario, tra sindacati sul piede di guerra e Confindustria senza Fiat, appassioniamoci pure alle schermaglie dei nuovi (?)capitani d’industria come Diego della Valle che interpreta l’antipolitica del 2011 dando lezione all’ex Ministro Bondi, “ragazzo di bottega” della politica politicante catapultato al potere proprio da colui che da quasi 20 anni si scaglia contro i professionisti della politica.

Ma a che serve questo poco edificante teatrino quando i problemi sono altrove? Il sistema democratico sta attraversando un periodo critico e difficile in tutti i Paesi del mondo occidentale, in Francia come in Germania, come in Gran Bretagna , persino negli USA dei nuovi indignados di Wall Street, nella Spagna di Zapatero in procinto di lasciare, nella Grecia super commissariata dai mercati. La crisi non poteva non toccare prima o poi il nostro Paese.

Quello che ci differenzia è l’anomalia di sistema aggravata e non creata dalle turbolenze finanziarie internazionali. Altrimenti non saremmo qui a discutere mentre le agenzie di rating ci declassano se Della Valle abbia o no ragione, se la giustizia non funziona a partire dalle sentenze ribaltate sull’assassinio di Meredith Kercher, se è meglio che un governo possa cadere per intercettazioni telefoniche che dovrebbero rimanere segrete o per la rottura del sodalizio decennale tra Berlusconi e Tremonti, oppure- cosa più probabile- per il dito medio di Umberto Bossi.

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