Non di lotta, ma sempre più di governo
La Lega al bivio
Il malessere da contagio di un sistema che non regge piùdi Elio Di Caprio - 30 giugno 2011
Come avrebbe giudicato Francesco Cossiga redivivo un’Italia che sembra sempre al bivio e poi si ritrae da ogni scelta definitiva preferendo il quieto vivere a cambiamenti drammatici ed improvvisi, magari invocando, come ora, la causa di forza maggiore di una speculazione internazionale sempre in agguato per colpire la piccola Italia?
Il proverbiale cinismo dell’ex capo dello Stato lo avrebbe probabilmente indotto a sorridere dei tanti appuntamenti “rivoluzionari” mancati, da quello di Fini a Bastia Umbra del settembre scorso al più recente (e reticente) di Bossi a Pontida, a non meravigliarsi più di tanto dei giochi di rimessa di un potere al tramonto ma senza alternative, avrebbe sottolineato l’impotenza dell’opposizione divisa su tutto, la sua paura del vuoto dopo aver contribuito a scalzare dall’immmagine collettiva un Cavaliere sempre vincente (e sorridente), non si sarebbe certo stupito dell’emergere o del riemergere dei Luigi Bisignani di turno come improbabili tessitori di nuove trame da basso impero all’ombra dei cortigiani e dei ciambellani di corte.
Avrebbe sorriso sconsolato ai continui strappi, alle scaramucce verbali inconcludenti, ai vecchi marpioni della politica che rischiano di essere spodestati per un giorno dalle onde emotive dei referendum, ai nuovi “responsabili” entrati in lizza per puntellare la fiducia al governo proprio quando è la fiducia popolare complessiva ad essere venuta meno nei confronti di un avvilente format della vita pubblica che trova le sue radici ben oltre le vicende del berlusconismo.
Il nuovo fa sempre più fatica ad avanzare nell’immagine riflessa che viene proiettata da giornali, televisioni, Internet. Perfino i riti collettivi della Lega, i raduni a Pontida, le ampolle da fiume sacro, l’ostentata fedeltà al capo di sempre- tutti sull’attenti quando il grande traghettatore Umberto Bossi, ammesso che si faccia capire e si capisca, esprime i suoi incerti oracoli per inseguire una realtà che sfugge di mano a tutti – appaiono d’improvviso vecchi e datati, poco credibili agli stessi militanti, ormai insufficienti a tenere unita una base fideistica logorata dai “compromessi romani” che in quanto tali non possono certo trasformare il consenso elettorale del 10% che la Lega ancora ottiene su spinte localistiche in un’ipoteca a vita sui governi nazionali.
Da quello che si sa sinora o viene fatto filtrare dalle Procure – ancora benedette le intercettazioni?- sull’ultima secretopoli dell’ennesima Loggia (?)la Lega appare totalmente estranea- e di questo se ne vanta- alle arruffate o sapienti manovre di sottogoverno privato e clientelare che, come accade troppo spesso nell’ Italia del Gattopardo, riescono sempre a sopravanzare e a tenere in scacco i gangli vitali della cosa pubblica.
Un merito o un demerito della Lega? Il cosiddetto centralismo romano è anche (e forse soprattutto) questo, è il lungo circuito di sempre che coinvolge ambienti apparentemente insospettabili che si genuflettono ripetutamente alle logiche personali e di potere. Ed allora a cosa servono i titoloni sparati in prima pagina dalla Padania sul cancro del centralismo? Cosa ci sta a fare la Lega in una maggioranza delle vite parallele, dove il potere centrale va per la sua (solita) strada attivando complicità e connivenze di interesse di varia natura ed una Lega centrale-periferica, presumibilmente pura, autonoma e tutta d’un pezzo, che ingoia tutti i rospi e ripete come un mantra che il suo solo interesse è il federalismo fiscale interpretato da una legione di fedelissimi al comando dell’oracolo Umberto Bossi?
Non è che parlando ora meno del federalismo fiscale e spostando l’attenzione sul bluff già scoperto dei quattro ministeri al nord, tanto per distinguersi dalla “cloaca” romana, si prendono le distanze dalle logiche di clan alla Bisignani , ammesso che tutto dipenda dall’attività di un singolo factotum e non piuttosto - la Lega dovrebbe saperlo stando a Roma da più di 15 anni- da un’atmosfera e da una prassi del “liberi tutti”, liberi di badare a curare esclusivamente i propri interessi privati ( tanto ci sarebbe sempre qualcuno che farebbe le stesse cose all’ombra di altre maggioranze…) fino a quando resta in piedi l’attuale sistema e magari preparandosi in tempo ad un eventuale ricambio.
I confini tra interesse pubblico e interesse privato andrebbero sempre rispettati e salvaguardati, cosa difficile evidentemente per una Lega per la quale il pubblico si identifica più con le esigenze localistiche e regionali che non con quelle dell’intero Paese, per un partito a impianto regionale che si trova inopinatamente ad esercitare da anni e con successo ( un buon allenamento centralista) la responsabilità del Ministero dell’Interno italiano, non di quello della Padania.
Le contraddizioni tra il dire e il fare non riguardano solo le mirabolanti promesse del Cavaliere, hanno contagiato visibilmente – era più che prevedibile- la stessa Lega e il suo stato maggiore costretti a rifugiarsi nel motto di “un capo,un popolo” per coprire l’assenza di contenuti con le solite parole d’ordine addomesticate. Del resto bastava assistere all’ultimo “magico” raduno di Pontida per rendersene conto.
In una stagione di crescente divaricazione tra quello che si agita nei sentimenti e risentimenti della popolazione nei confronti del Palazzo, quando anche le più sagge declamazioni appaiono stucchevoli se non si riesce ad essere conseguenti o almeno coerenti, a nulla servono i distinguo di chi conduce assieme la barca all’interno della stessa maggioranza. Il re sta diventando sempre più nudo anche per la Lega pur non avendo essa nulla a che spartire con le nuove rivelazioni di secretopoli o con le ricorrenti gogne mediatiche degli ultimi anni.
Si possono sì trovare sempre nuovi motivi di contestazione (contro chi?) magari riducendo i nuovi obbiettivi di lotta alle quote latte, come è stato fatto nel raduno leghista di Pontida, presentare al (proprio) governo un penultimatum dattiloscritto già scaduto , ma poi l’immagine prevalente è che per la Lega è sempre meglio tenersi il Berlusconi di sempre, quello che ha sponsorizzato nelle liste del PDL un personaggio ambiguo come l’inquisito onorevole Papa e non disdegna affatto i servigi del centralismo romano tramite i Bisignani disponibili del momento.
Il proverbiale cinismo dell’ex capo dello Stato lo avrebbe probabilmente indotto a sorridere dei tanti appuntamenti “rivoluzionari” mancati, da quello di Fini a Bastia Umbra del settembre scorso al più recente (e reticente) di Bossi a Pontida, a non meravigliarsi più di tanto dei giochi di rimessa di un potere al tramonto ma senza alternative, avrebbe sottolineato l’impotenza dell’opposizione divisa su tutto, la sua paura del vuoto dopo aver contribuito a scalzare dall’immmagine collettiva un Cavaliere sempre vincente (e sorridente), non si sarebbe certo stupito dell’emergere o del riemergere dei Luigi Bisignani di turno come improbabili tessitori di nuove trame da basso impero all’ombra dei cortigiani e dei ciambellani di corte.
Avrebbe sorriso sconsolato ai continui strappi, alle scaramucce verbali inconcludenti, ai vecchi marpioni della politica che rischiano di essere spodestati per un giorno dalle onde emotive dei referendum, ai nuovi “responsabili” entrati in lizza per puntellare la fiducia al governo proprio quando è la fiducia popolare complessiva ad essere venuta meno nei confronti di un avvilente format della vita pubblica che trova le sue radici ben oltre le vicende del berlusconismo.
Il nuovo fa sempre più fatica ad avanzare nell’immagine riflessa che viene proiettata da giornali, televisioni, Internet. Perfino i riti collettivi della Lega, i raduni a Pontida, le ampolle da fiume sacro, l’ostentata fedeltà al capo di sempre- tutti sull’attenti quando il grande traghettatore Umberto Bossi, ammesso che si faccia capire e si capisca, esprime i suoi incerti oracoli per inseguire una realtà che sfugge di mano a tutti – appaiono d’improvviso vecchi e datati, poco credibili agli stessi militanti, ormai insufficienti a tenere unita una base fideistica logorata dai “compromessi romani” che in quanto tali non possono certo trasformare il consenso elettorale del 10% che la Lega ancora ottiene su spinte localistiche in un’ipoteca a vita sui governi nazionali.
Da quello che si sa sinora o viene fatto filtrare dalle Procure – ancora benedette le intercettazioni?- sull’ultima secretopoli dell’ennesima Loggia (?)la Lega appare totalmente estranea- e di questo se ne vanta- alle arruffate o sapienti manovre di sottogoverno privato e clientelare che, come accade troppo spesso nell’ Italia del Gattopardo, riescono sempre a sopravanzare e a tenere in scacco i gangli vitali della cosa pubblica.
Un merito o un demerito della Lega? Il cosiddetto centralismo romano è anche (e forse soprattutto) questo, è il lungo circuito di sempre che coinvolge ambienti apparentemente insospettabili che si genuflettono ripetutamente alle logiche personali e di potere. Ed allora a cosa servono i titoloni sparati in prima pagina dalla Padania sul cancro del centralismo? Cosa ci sta a fare la Lega in una maggioranza delle vite parallele, dove il potere centrale va per la sua (solita) strada attivando complicità e connivenze di interesse di varia natura ed una Lega centrale-periferica, presumibilmente pura, autonoma e tutta d’un pezzo, che ingoia tutti i rospi e ripete come un mantra che il suo solo interesse è il federalismo fiscale interpretato da una legione di fedelissimi al comando dell’oracolo Umberto Bossi?
Non è che parlando ora meno del federalismo fiscale e spostando l’attenzione sul bluff già scoperto dei quattro ministeri al nord, tanto per distinguersi dalla “cloaca” romana, si prendono le distanze dalle logiche di clan alla Bisignani , ammesso che tutto dipenda dall’attività di un singolo factotum e non piuttosto - la Lega dovrebbe saperlo stando a Roma da più di 15 anni- da un’atmosfera e da una prassi del “liberi tutti”, liberi di badare a curare esclusivamente i propri interessi privati ( tanto ci sarebbe sempre qualcuno che farebbe le stesse cose all’ombra di altre maggioranze…) fino a quando resta in piedi l’attuale sistema e magari preparandosi in tempo ad un eventuale ricambio.
I confini tra interesse pubblico e interesse privato andrebbero sempre rispettati e salvaguardati, cosa difficile evidentemente per una Lega per la quale il pubblico si identifica più con le esigenze localistiche e regionali che non con quelle dell’intero Paese, per un partito a impianto regionale che si trova inopinatamente ad esercitare da anni e con successo ( un buon allenamento centralista) la responsabilità del Ministero dell’Interno italiano, non di quello della Padania.
Le contraddizioni tra il dire e il fare non riguardano solo le mirabolanti promesse del Cavaliere, hanno contagiato visibilmente – era più che prevedibile- la stessa Lega e il suo stato maggiore costretti a rifugiarsi nel motto di “un capo,un popolo” per coprire l’assenza di contenuti con le solite parole d’ordine addomesticate. Del resto bastava assistere all’ultimo “magico” raduno di Pontida per rendersene conto.
In una stagione di crescente divaricazione tra quello che si agita nei sentimenti e risentimenti della popolazione nei confronti del Palazzo, quando anche le più sagge declamazioni appaiono stucchevoli se non si riesce ad essere conseguenti o almeno coerenti, a nulla servono i distinguo di chi conduce assieme la barca all’interno della stessa maggioranza. Il re sta diventando sempre più nudo anche per la Lega pur non avendo essa nulla a che spartire con le nuove rivelazioni di secretopoli o con le ricorrenti gogne mediatiche degli ultimi anni.
Si possono sì trovare sempre nuovi motivi di contestazione (contro chi?) magari riducendo i nuovi obbiettivi di lotta alle quote latte, come è stato fatto nel raduno leghista di Pontida, presentare al (proprio) governo un penultimatum dattiloscritto già scaduto , ma poi l’immagine prevalente è che per la Lega è sempre meglio tenersi il Berlusconi di sempre, quello che ha sponsorizzato nelle liste del PDL un personaggio ambiguo come l’inquisito onorevole Papa e non disdegna affatto i servigi del centralismo romano tramite i Bisignani disponibili del momento.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.