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Il Pd alla resa dei conti

La finzione di un Congresso

La vittoria di Renzi spaccherà ulteriormente un partito già diviso. Il pericolo implosione è alle porte

di Gaetano D'Ambrosio - 04 novembre 2013

E’ da qualche giorno che è partita la campagna congressuale del PD. Dopo aver rimosso l’onesto Bersani, il partito si avvia, per dirla con Elle Kappa con una vignetta più geniale del solito, a “fumarsi il Toscano”. Le “contraddizioni” (solo per generosità) interne al PD finiscono per consumare l’ennesimo pasto distruttivo della contingente leadership, anche quella di governo, quasi a dover ripetere, per una maledizione storica, il mito di Crono, che nella mitilogia greca, oltre a mangiare i suoi figli pur di impedire la perdita del suo potere ad opera di un figlio, consumò la sua vita a combattere contro tutti.

E’ bene far rilevare che delle quattro candidature (Civati, Pittella, Cuperlo e Renzi) i contendenti più rilevanti sono solo due: Cuperlo e Renzi. Anche se siamo ancora nella fase iniziale, va delineandosi la quasi certa vittoria dell’attuale Sindaco di Firenze, così come sta emergendo anche dai sondaggi quotidiani. Tale prospettiva, però, a me sembra che non sia pienamente condivisa dalla “nomenclatura” dello stesso PD e da gran parte della base. Allo stato, nessuno ha la forza vera di contrastare l’ascesa di Renzi e, perciò, c’è chi ha finito, nel tentativo di “soccorrere il vincitore” per possibili future gratificazioni, (caratteristica dell’italiano da sempre – E. Flaiano), per delinearsi un ruolo di sostegno, e chi, non potendo arrivare a tanto, ha scelto il ruolo del finto oppositore nella prospettiva di egemonizzare la minoranza,specie se cospicua (vedi D’Alema).

A me appare tutto questo un gioco fin troppo scontato delle parti, in attesa che gli eventi futuri, oggi quasi imponderabili, possano far emergere un quadro della realtà, dove ognuno, non riuscendo ad imporsi sull’altro, spera, comunque, di rivestire un ruolo, nell’eterna perpetuazione della stagnazione della situazione, per la carenza assoluta di leader. Berlusconi, tra le tante responsabilità che ha accumulato, con la sua fortissima personalità e per la sua egemonia imperante, non ha consentito che potessero esserci uomini politici che, diversamente collocati, potessero esprimere posizioni rilevanti e/o di primo piano.

Anzi, ha governato a tal punto la situazione storico-politica, da arrivare a scegliersi di fatto e di volta in volta i suoi “comodi” avversari. Poteva essere auspicabile che ora, nel declino della egemonia berlusconiana, si potesse andare formando un arco di posizioni politiche consone ad un moderno stato democratico, ma prima il PD, poi gli altri raggruppamenti non danno alcun costruttivo ed opportuno segnale, continuando a trastullarsi nella loro inettitudine, con il fermo proposito di attuare il principio del “quieta non movere” pur di conservare i privilegi acquisiti ed assicurarsi la propria eternità.

In questo contesto era proprio urgente e necessario celebrare un “finto” congresso? E’ bastata la carica dirompente di un altro bravo comunicatore – il Toscano (Renzi) -, ma che non ha ancora mostrato le sue capacità di leader, a costringere, più per paura che per reale convincimento, l’attuale classe dirigente del PD a consentire la celebrazione di un congresso non risolutivo della sua crisi, ma che potrebbe accelerare lo scoppio delle sue contraddizioni. E questo potrebbe essere un bene se, finalmente, in modo catartico, costringerà a costruire una nuova realtà politica, in cui le capacità dei singoli potrebbero avere modo di esprimersi, superando ed assorbendo gli ostacoli delle varie lobby, specie della grande finanza e non solo, che hanno fin qui menato il gioco.

Concludo con un modesto invito al PD: aggiorni il Congresso in un’altra data, quantomeno dopo aver realizzato al suo interno il massimo chiarimento possibile; viceversa, rischierà di implodere anzitempo.

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