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Public Policy

Ma non per i motivi di cui parla il centrodestra

La Finanziaria è una delusione

Non contiene nulla di strategico e riformista per combattere il declino

di Enrico Cisnetto - 02 ottobre 2006

Una delusione. Ma non per i motivi che spingono il centro-destra a scendere in piazza. La prima Finanziaria della legislatura è deludente – molto deludente – non perchè faccia versare “lacrime e sangue” ai ceti medi, ma perchè non contiene nulla di veramente strategico e autenticamente riformista per far uscire il Paese dal declino. D’altra parte, già c’era confusione sugli obiettivi che avrebbe dovuto perseguire: oltre al risanamento e allo sviluppo, si era evocata l’equità, come se questa non dovesse essere una conseguenza della ripresa economica. Ma si sperava che quella evocazione fosse un tributo pagato alla retorica cara alla “sinistra-sinistra” che condiziona la maggioranza di governo. Invece, oplà, ecco che la giustizia redistributiva è diventato il fulcro della Finanziaria, e fa una certa impressione sentire ora il ministro Padoa-Schioppa, nelle cui mani avevamo riposto tutte le speranze di una manovra finalmente coraggiosa, dire all’unisono con Prodi che “il primo problema del governo è il diritto dei deboli”. Senza contare che si è pensato di fare equità toccando i redditi invece che il patrimonio: pur partendo da un’ottica “punitiva”, la sinistra aveva prodotto una riflessione non priva di efficacia sulle rendite e sul danno che produce un patrimonio “inutilizzato” anzichè investito nelle attività produttive. Invece si è preferito maneggiare l’Irpef, finendo col credere che soltanto l’1,5% della popolazione stia sopra la soglia dei 75 mila euro (che equivale alla “clamorosa” cifra di 3 mila euro netti al mese) e punendo costoro. Certo, per quanto riguarda il risanamento, stando ai numeri, l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto. Perchè se anche alcune poste del bilancio dovessero rivelarsi ottimistiche – come sempre è avvenuto negli ultimi anni, per esempio per quanto riguarda il recupero di evasione ed elusione – le maggiori entrate fiscali della prima parte dell’anno con tutta probabilità riusciranno ad essere compensative e a consentire, dunque, di scendere sotto il 3% di deficit-pil e a ripristinare l’avanzo primario (entrate maggiori delle uscite al netto degli interessi sul debito). Ma se così sarà, l’obiettivo impostoci da Bruxelles non deriverà dalla virtù della riduzione strutturale delle spese ma dal vizio dell’incremento delle entrate. Vedremo se i dettagli ci convinceranno del contrario, ma fin qui l’impressione è che si sia preferita la concezione poliziesca della “lotta all’evasione” piuttosto che concentrare l’attenzione sui conflitti tra interessi diversi (come la deducibilità degli scontrini fiscali). Mentre sul fronte delle spese si è ceduto oltre misura alle pressioni, nonostante che il ministro dell’Economia avesse giustamente chiarito che di “riforme, non tagli” aveva bisogno il Paese. Ebbene, in Finanziaria la riforma delle pensioni non c’è. Il pubblico impiego avrà la sua buona fetta di aumento con quegli 1,2 miliardi stanziati per il personale delle amministrazioni statali, e sulla scuola dalla razionalizzazione del rapporto insegnanti-allievi siamo passati all’assunzione di 150 mila precari. Per quanto riguarda gli enti locali, è assolutamente inutile tagliare i trasferimenti se contemporaneamente si concede loro la possibilità di aumentare le tasse locali (e il ministro Rutelli ci dovrebbe spiegare se è con la tassa di soggiorno che intende puntare sul turismo). Meglio le decisioni sulla sanità, ma affermare che ci si aspettava complessivamente di più è dire poco. Tuttavia, è la mancanza della centralità della questione sviluppo, e la mancanza di un piano per la riconversione produttiva del nostro sempre più marginale capitalismo, a rappresentare la maggiore delle delusioni. Si veda, per esempio, il taglio del cuneo fiscale: se fosse generalizzato, aveva opportunamente avvertito Padoa-Schioppa, finirebbe con l’essere l’ennesimo inutile finanziamento a pioggia. Ecco perché, si era avvertito, si sarebbe dovuto puntare su quei settori “vivi” e in grado già oggi di stare sul mercato globale, per permettere loro uno sviluppo maggiore. Invece ecco un intervento declinato su base territoriale e per tipologia di contratti, che va nella direzione opposta. In più, alle imprese verrà tolta una parte del Tfr: sembra quasi che si dia con una mano quello che con l’altra si toglie... D’altra parte, era difficile immaginare di trovare un governo in grado di selezionare industrie, comparti, distretti, perché per farlo bisognerebbe anche avere una politica industriale, e nonostante i lodevoli sforzi il piano-Bersani – che dovrebbe imitare quello francese dei “poli industriali d’eccellenza” – ancora non lo è. Questo è il primo giudizio sulla Finanziaria. Pronti a cambiarlo, anche se temiamo che l’iter parlamentare non potrà che peggiorarla. Anche perché finora il centrodestra, con quel suo continuo appellarsi alla piazza, si sta comportando esattamente come rimproverava al centrosinistra a parti invertite: molta demagogia, nessuna idea. Il problema dell’Italia non è l’equità, ma il declino. E con questa Finanziaria e questa opposizione ci sono buone probabilità che lo si aggravi.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.