Riproporre la strategia Cofferati è un errore
La difficile strada segnata dalla Cgil
L’estremismo di Epifani riporta l’unità interna, ma causerà la rottura con Cisl e Uildi Enrico Cisnetto - 06 marzo 2006
Obiettivo minimo, a un prezzo molto salato. Guglielmo Epifani ha chiuso ieri il XV Congresso della Cgil portando a casa la sua riconferma alla segreteria in modo unitario, Fiom compresa. Ma il sacrificio politico che ha permesso l’operazione “compattezza interna” è destinato a rivelarsi dannoso per il Paese, perché irrigidisce la Cgil rispetto alle altre parti sociali e reintroduce nel fronte sindacale elementi di tensione. Nessun “accordo di legislatura” con il pur osannato Prodi, infatti, non significa più disponibilità alla concertazione, ma avvertimento da sinistra al futuro governo su ciò che non dovrà fare. A cominciare dalla legge Biagi, sulla quale la Cgil non tollererà dimostrazioni di morbidezza, ma solo la sua abolizione.
L’irrigidimento di Epifani si era intuito prima con il “caso-Ichino” – chiuso con una riabilitazione puramente formale e senza l’imprimatur del segretario – e poi con l’atteggiamento di chiusura sul tema della riforma della contrattazione verso un sistema che agganci gli aumenti salariali alla produttività aziendale. Ma se l’idea è di scommettere tutto sulla vittoria dell’Unione, per poi rilanciare e spuntare di più con un governo amico-supino, Epifani ha sbagliato i calcoli. Intanto perchè nel 1996 fu proprio il suo predecessore, Sergio Cofferati, a cadere nella trappola del fiancheggiamento “senza se e senza ma” con l’allora coalizione di centrosinistra, con il risultato finale di una Cgil schiacciata su posizioni governative e un movimento sindacale spaccato. E poi perchè c’è chi si dimostra apertamente spazientito di dover aspettare il “sindacato rosso”, a cominciare da Cisl, Uil, Ugl e Confindustria. E’ passato un anno e mezzo da quando si è aperto il confronto della ricerca di un nuovo sistema contrattuale. E in questo lasso di tempo Epifani non è voluto, o peggio non potuto, andare verso un meccanismo che premi la contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale, che dovrebbe rimanere come cornice e riguardare soltanto gli aspetti normativi. Ora gli interventi di Pezzotta e Angeletti al congresso della Cgil, e la reazione di Montezemolo – prudente, ma gli scioperi negli ultimi anni sono tornati alle quantità e modalità degli “autunni caldi” – fanno capire che la stagione del diritto di veto che Epifani ha rivendicato, è in procinto di decadere. Una recente intervista al Messaggero, in cui Andrea Pininfarina ha proposto di superare il Patto del ’93 con un nuovo accordo – dove a maggiori salari corrispondano regole ferree e più contrattazione decentrata – sembra aver riaperto la questione. Sul fronte sindacale, poi, il prossimo numero uno della Cisl, Pier Paolo Baretta, ha dichiarato in un dibattito organizzato da Società Aperta con Ichino che “è complicato, ma la nuova contrattazione la possiamo anche fare separatamente”. Come a dire la Cisl è pronta a salpare. Allora, che si parta. Lasciando Epifani a braccetto con Cremaschi. Inutile aspettare chi non può – o non vuole – muoversi.
Pubblicato sul Messaggero del 5 marzo 2006
L’irrigidimento di Epifani si era intuito prima con il “caso-Ichino” – chiuso con una riabilitazione puramente formale e senza l’imprimatur del segretario – e poi con l’atteggiamento di chiusura sul tema della riforma della contrattazione verso un sistema che agganci gli aumenti salariali alla produttività aziendale. Ma se l’idea è di scommettere tutto sulla vittoria dell’Unione, per poi rilanciare e spuntare di più con un governo amico-supino, Epifani ha sbagliato i calcoli. Intanto perchè nel 1996 fu proprio il suo predecessore, Sergio Cofferati, a cadere nella trappola del fiancheggiamento “senza se e senza ma” con l’allora coalizione di centrosinistra, con il risultato finale di una Cgil schiacciata su posizioni governative e un movimento sindacale spaccato. E poi perchè c’è chi si dimostra apertamente spazientito di dover aspettare il “sindacato rosso”, a cominciare da Cisl, Uil, Ugl e Confindustria. E’ passato un anno e mezzo da quando si è aperto il confronto della ricerca di un nuovo sistema contrattuale. E in questo lasso di tempo Epifani non è voluto, o peggio non potuto, andare verso un meccanismo che premi la contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale, che dovrebbe rimanere come cornice e riguardare soltanto gli aspetti normativi. Ora gli interventi di Pezzotta e Angeletti al congresso della Cgil, e la reazione di Montezemolo – prudente, ma gli scioperi negli ultimi anni sono tornati alle quantità e modalità degli “autunni caldi” – fanno capire che la stagione del diritto di veto che Epifani ha rivendicato, è in procinto di decadere. Una recente intervista al Messaggero, in cui Andrea Pininfarina ha proposto di superare il Patto del ’93 con un nuovo accordo – dove a maggiori salari corrispondano regole ferree e più contrattazione decentrata – sembra aver riaperto la questione. Sul fronte sindacale, poi, il prossimo numero uno della Cisl, Pier Paolo Baretta, ha dichiarato in un dibattito organizzato da Società Aperta con Ichino che “è complicato, ma la nuova contrattazione la possiamo anche fare separatamente”. Come a dire la Cisl è pronta a salpare. Allora, che si parta. Lasciando Epifani a braccetto con Cremaschi. Inutile aspettare chi non può – o non vuole – muoversi.
Pubblicato sul Messaggero del 5 marzo 2006
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DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.