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Il Berlusconi addolorato

La colpa è nostra

Ci stiamo facendo del male esponendo al globo le nostre debolezze politiche e istituzionali

di Davide Giacalone - 24 marzo 2011

Silvio Berlusconi non intende esporsi troppo e neanche andrà in Parlamento, per riferire sulle vicende libiche. Giorgio Napolitano s’espone più volte al giorno e sta organizzando un viaggio negli Stati Uniti, in modo da parlarne all’Assemblea delle Nazioni Unite. In Italia, intanto, ci si occupa di roba da cortile, facendo finta che esistano un partito della pace e uno della guerra, che siano stabili nel tempo, con chiunque si faccia la pace e a chiunque si dichiari guerra, sicché ci si possa divertire a segnalare i traslochi da una parte all’altra. Roba da allocchi. La partita, invece, è ben più grossa e i due presidenti sono intenti a giocarla, senza false ingenuità.

Fin qui è Berlusconi a trovarsi nella posizione più difficile, aggravata dal fatto che la compagine ministeriale ha ripetutamente mostrato il non esaltante livello di alcuni suoi componenti. Si può anche credere che il suo dispiacere per la sorte toccata a Gheddafi sia un segno d’annebbiamento mentale o di sentimentalismo mal riposto. Ma la storia di Berlusconi è disseminata d’avversari stecchiti dal non averlo preso sul serio. Quindi, se non altro, vale la pena ragionare.

Le operazioni militari non procedono bene. A parte il caos nella sala comando, resta il fatto che si lanciano missili e si sganciano bombe, senza che questo impedisca a Gheddafi e ai suoi libertà di movimento. I militari statunitensi, del resto, lo avevano previsto e si erano detti contrari ad un simile intervento. Mettiamola così: se non si riesce ad ammazzare il colonnello, questa partita non si chiuderà né rapidamente né linearmente.

Se si allungano i tempi, però, crescerà il peso dei paesi le cui economie si sviluppano maggiormente, quelli del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), che hanno preso le distanze dalla guerra. Crescerà quello della Germania, confermando che in Libia la vera vittima è l’Unione Europea. Crescerà quello della Turchia, che sulla Libia ha una storia coloniale ben più lunga e solida della nostra. E crescerà quello della Lega Araba, che aveva messo nel conto l’eliminazione immediata di un libico mai amato, ma non l’intromissione stabile delle armate occidentali nel proprio mondo.

Berlusconi vede tutto questo e vi cerca lo spazio per un’iniziativa diplomatica che avrebbe fatto meglio a costruire per tempo, ma che non per questo è impossibile. Ricordiamoci che la divisione della Libia sarebbe un duro colpo per i nostri interessi, difendere i quali non è un reato, ma un dovere. Il guaio è che per fare certe cose occorre anche un solido rapporto con l’amministrazione statunitense. Con Bush c’era, con Obama difetta.

Dall’altra parte c’è Giorgio Napolitano, intento a governare dal Quirinale, laddove prova a rappresentare sia l’opposizione che la politica estera italiana. Esercizio complicato. A cominciare dalle questioni costituzionali. Ho letto, su giornali sempre meno capaci d’osservazioni libere, che dell’articolo 11 della Costituzione si deve leggere il secondo comma. Che non esiste. C’è una seconda parte di un unico periodo, nella quale si afferma che l’Italia consente alle limitazioni di sovranità che assicurino la pace e la giustizia. Ma se la mettiamo su questo piano si può far la guerra a chiunque! Il che è escluso dalla prima parte. Allora: una cosa è partecipare a forze multilaterali, meglio se nell’ambito della Nato e su mandato dell’Onu, altra, ben diversa, è prendere le mosse da una decisone Onu debole, senza alcuna forza multilaterale a comando unificato. E’ in queste condizioni che s’è avviata la guerra alla Libia.

Le decisioni francesi, inoltre, hanno reso palese il conflitto politico fra paesi europei, incarnatosi in un conflitto armato sulle rive del Mediterraneo. Questa situazione, difficile e pericolosa, non viene meno sol perché i giornali italiani s’allineano al conformismo reverenziale, o perché i costituzionalisti tacciono, e meno ancora perché la sinistra dimentica le sue posizioni. Non s’assopisce per il solo fatto che essendo Gheddafi considerato amico di Berlusconi (lo era di Andreotti come di D’Alema) fargli la guerra è giusto a prescindere. Perché non stiamo giocando ai soldatini, questa è roba vera.

I giornali possono anche scrivere che il Quirinale ha magnanimamente coperto Palazzo Chigi, ma è sufficiente il buon senso per accorgersi del contrario: è il governo che sta coprendo il Presidente della Repubblica, il quale ha preso la guida della politica estera. Cosa di cui non si trova traccia nella Costituzione.

Sintetizzando: ci stiamo facendo del male, esponendo al globo le nostre debolezze politiche e istituzionali, nel mentre l’Italia è marginalizzata lì dove i nostri interessi legittimi sono superiori a quelli degli altri. La colpa è nostra, anche per non avere voluto comprendere (come qui ci siamo, per tempo, sforzati di raccontare) quanto lunga sia stata la rincorsa per demolirci. Siamo stati i soli a leggere la grottesca vicenda di Cesare Battisti sotto questa luce. Il Berlusconi “addolorato”, allora, non è uno che ha perso la trebisonda. Semmai è uno che, in ritardo, si pone il problema di come uscirne non massacrato.

Pubblicato da Libero

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