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L'editoriale di TerzaRepubblica

La chance di Renzi

In giro c'è nuova fiducia e molta liquidità, non vanno sprecate

01 marzo 2014

Ce la farà, Renzi? Tra problemi e opportunità, una bella lotta. Da un lato, i problemi, fotografati in modo efficace dall’Economist: “esordio sfilacciato, il nuovo primo ministro d’Italia si dilunga nelle promesse ma scarseggia nei dettagli sulle riforme che intende fare”. È difficile dar torto al settimanale britannico: Renzi ha promesso una riforma al mese fino a giugno – su legge elettorale, lavoro, burocrazia, tasse – oltre a forti investimenti nell’edilizia scolastica e il saldo di tutti i debiti dello Stato con le imprese, ma non ha fornito una indicazione che una su come farà questi interventi e dove troverà le risorse necessarie (che ci sono, ma vanno fatte emergere). Dall’altro, le opportunità: la fiducia delle imprese, le attese dei mercati finanziari internazionali, la speranza della gran parte degli italiani, anche – e, forse, soprattutto – di quelli che non hanno mai votato e mai voteranno a sinistra. Quali dei due piatti, della bilancia di Renzi, pesa maggiormente?

Vale più la tendenza dei giornali a randellare – la luna di miele per taluni non c’è mai stata, per altri è durata solo poche ore – o quella del cittadino comune a dargli il tempo necessario a dimostrare di che pasta è fatto? Noi, che pure non consideriamo il governo Renzi né il prodromo né tantomeno il primo governo della Terza Repubblica, e che pure non ci sfuggono i difetti dell’uomo (bullismo, eccesso di semplificazione, convinzione che la politica sia solo comunicazione) e del suo esecutivo (inesperienza e incompetenza dovute a “nuovismo” fine a se stesso), noi, dicevamo, abbiamo scelto fin dal primo momento di svolgere una funzione di “supporto critico” anziché semplicemente di critica. Nella convinzione che il Paese non si possa permettere l’ennesimo passo falso, dopo aver buttato via tempo prezioso e aver bruciato due governi nati sotto la preziosissima stella delle larghe convergenze, e quindi senza l’ipoteca (o almeno ridotta) del bipolarismo armato.

E che sarebbe una tragedia se venisse mortificata quella fiduciosa attesa, carica di forti aspettative, che gli imprenditori hanno nei confronti di Renzi e del suo (estremo) tentativo di rimettere in piedi l’Italia. Quella che gli hanno dimostrato di avere gli industriali veneti che nei giorni scorsi lo hanno accolto a Treviso, contraddicendo l’evidente scetticismo di Confindustria (“Da De Gasperi a Beautiful”, ha scritto il Sole 24Ore). Quella che traspare dall’indice Istat sulla fiducia delle imprese – che a febbraio si è portato al valore più alto da ottobre 2011, con performance ancora migliori da parte delle imprese manifatturiere e del commercio al dettaglio, che raggiungono i massimi da luglio 2011 – e ancor più dall’indice Eurostat che misura la fiducia nelle prospettive dell’economia, il cosiddetto “sentimento economico”, che a febbraio con un balzo di 2,4 punti rispetto al mese precedente ha toccato il livello più alto da giugno 2011, mentre nell’Eurozona è rimasto piatto e in Francia è addirittura crollato (-1,6).

Allo stesso modo, si registrano notevoli aspettative da parte degli investitori internazionali. Lo spread non è mai, né quando sale né quando scende, la spia della congiuntura politica interna, tuttavia i livelli delle ultime settimane riflettono la buona predisposizione che i mercati hanno verso il “rischio Italia”. In giro c’è grande liquidità, perché i grandi investitori istituzionali vedono nella decisione della Federal Reserve di ridurre gradualmente gli stimoli monetari un buon motivo per disinvestire dai mercati emergenti e spostarsi su asset ad alto rendimento come azioni e bond dei Paesi dell’area euro che hanno i maggiori tassi d’interesse. È in atto, insomma, una consistente rotazione di portafoglio che alimenta il calo dello spread, e rende interessante sotto molti punti di vista l’Italia.

Guai, dunque, se non ci fosse la capacità di cogliere e valorizzare “sentiment” così positivi, dopo 4 anni di recessione (sugli ultimi sei), spread alle stelle e un periodo buio di depressione collettiva. Il Paese ha bisogno – e in qualche misura voglia – di rialzarsi e riprendere prima a camminare e poi a correre, e a torto o ragione ha la sensazione che Renzi possa l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. È possibile, in qualche misura anche probabile, che il “giovanotto” e il suo “quasi monocolore” non riescano nell’intento, ma guai a mortificare questo sentimento così diffuso, per molti versi utile, specie in economia, a prescindere.

Certo, la partenza un po’ pasticciata e qualche tono ora sopra le righe ora da campagna elettorale, potrebbero indurci a cattivi pensieri senza per questo peccare. Per esempio, il balletto di dichiarazioni sui Bot e sulle rendite provenienti da investimenti finanziari, prima ancora che il governo sia completato e abbia espresso in modo organico il suo programma, è l’esempio di cosa non bisogna fare. Tuttavia, è troppo diffuso il desiderio che Renzi ce la faccia, e così netta la consapevolezza – giusta o sbagliata che sia – che trattasi di “ultima spiaggia”, perché le incertezze e le contraddizioni iniziali possano aver già intaccato la fiducia preventiva. Ma questo non deve indurre a credere che il patrimonio di aspettative positive di cui Renzi dispone non abbia una data di scadenza. Ce l’ha, e anche piuttosto ravvicinata. Così come sarebbe un errore fatale pensare che prescinda dal merito delle risposte. In altre parole: se Renzi, di fronte all’enorme complessità dei problemi da affrontare, si farà prendere dalla tentazione di dare risposte demagogiche, di infiocchettare qualche bel “pacco mediatico”, sarà pesantemente punito. Se, al contrario, darà dimostrazione di affrontare i nodi del Paese avendo la capacità di selezionarli secondo un ordine di priorità ma anche tenendo conto delle interrelazioni strategiche che intercorrono tra le diverse questioni, allora fiducia chiamerà fiducia e s’innescherà una dinamica virtuosa. Per esempio, se distribuirà denari a pioggia, specie se provenienti da velleitari interventi fiscali sulle rendite finanziarie, non otterrà alcun beneficio in termini di crescita del pil e, di conseguenza, dell’occupazione. Se, invece, troverà da interventi sul patrimonio pubblico risorse per fare investimenti in conto capitale, allora metterà in moto ricadute positive sia per l’economia reale che per la finanza pubblica. Allo stesso modo, sul fronte delle riforme istituzionali, ci sono obiettivi ambiziosi e metodi corretti di realizzarli che fanno crescere il consenso, e chiacchiere o azioni maldestre che lo fanno perdere con ancora maggiore facilità. Renzi vuole “fare bene” e nello stesso tempo “stupire”?

Faccia sua l’idea di una Assemblea Costituente per dare organicità e solennità alla “grande riforma” – che abbiamo visto con piacere essere stata rilanciata da Giovanni Orsina sulla Stampa – e vedrà che unirà qualità della proposta e forza d’impatto mediatica.

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