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Public Policy

Tutto rimandato a ottobre

La carica degli euroscettici

L'Europa a 27 è un oggetto politico non ancora identificato

di Elio Di Caprio - 23 giugno 2008

Che succede all"Europa? Che ne sarà dell"Europa, della “vecchia” Europa? Nessuno lo sa a quasi venti anni da quando Jaques Delors già definiva l"Europa un “oggetto politico non identificato”. Tutto è rimandato ad ottobre e poi si vedrà. Intanto le burocrazie europee, quel mondo a parte così lontano dai bisogni della gente, hanno perfettamente capito che, dopo le bocciature precedenti, il rifiuto irlandese alla costituzione europea rimaneggiata è un campanello d"allarme il cui significato va oltre il dato quantitativo del referendum della piccola Irlanda. Che fare in attesa delle ratifiche mancanti se e quando verranno o subito dopo?

Come per la globalizzazione, non sapendo come rassicurare i cittadini presi nella tormenta si è sempre parlato asetticamente di rischi ed opportunità che tocca ai singoli Stati cogliere per non rimanere indietro, così per l"Unione Europea è invalso uno slogan simile: rischio ed opportunità, tocca agli Stati membri misurarsi sulle capacità di progresso delle singole comunità nell"ambito dell"Unione a 27 Stati e trovare un accordo di governance complessiva. La differenza sostanziale è che il processo di globalizzazione ha per sua natura un andamento imprevedibile anche se il ministro Tremonti è convinto che qualcuno (la speculazione globale?) abbia premeditato e voluto lo sviluppo attuale. La costruzione europea allargata con una moneta unica è stata invece un atto preciso di volontà (avventato?) degli Stati fondatori che hanno preteso di estendere d"un colpo l"Unione Europea a tutti i Paesi ex satelliti dell"URSS ed a gran parte dei Balcani fino ad arrivare alla Turchia.

Qualche errore è stato fatto se giunti a questo punto il problema dell"allargamento alla Turchia è rimandato “sine die” visto che da anni non si riesce neppure a mandare avanti una Costituzione europea condivisa. E" qui il segnale più preoccupante della crisi che non riguarda evidentemente la sola codificazione formale del trattato di Lisbona. E" come se fossimo arrivati a un momento della verità non più rinviabile. Bisogna uscire dallo stallo. Ma quello che colpisce maggiormente è il pressocchè unanime e tardivo rammarico di aver voluto anteporre un"affrettata integrazione economica e monetaria all"integrazione politica. Di chi la colpa e si poteva fare diversamente?

E" difficile dissociare la responsabilità delle burocrazie europee da quella dei singoli Stati che da Maastricht in poi hanno perseguito insieme l"obbiettivo di accelerare ad ogni costo un"integrazione prematura. Di velleità in velleità Berlusconi a nome dell"Italia aveva persino proposto qualche anno fa di allargare l"UE al continente russo. Forse sarebbe stato comodo per risolvere (in parte) i problemi energetici europei, ma quale mai maggiore integrazione avrebbe avuto luogo per tale via? In piena globalizzazione ci troviamo ora a fare i conti con un percorso di unificazione europea incompiuto che è reso più necessario di prima. Ma gli ostacoli e gli errori corrono il rischio di mandare tutto all"aria. Si sente più che mai la mancanza di una comune coscienza storica europea che unifichi valori, interessi, culture e aspettative. Per riagganciare e colmare questo gap le burocrazie europee possono fare evidentemente ben poco. La realtà è che l"“Europa dei popoli” interessa sempre meno forse per colpa della globalizzazione e della paura del nuovo, di qualunque novità, che attanaglia di questi tempi le società europee.

Con tanto parlare che si fa della sussidiarietà come nuovo faro dell"agire politico e dell"opportunità di lasciare ai governanti locali la prima se non esclusiva cura dei problemi delle comunità per il principio di prossimità ai bisogni della gente, non si poteva non arrivare prima o poi ad una rotta di collisione con le decisioni dell"UE democraticamente (?) imposte dall"alto e valide per tutti. Ci siamo arrivati e non può perciò fare scandalo più di tanto il malumore dei movimenti autonomisti come la Lega – ma ce ne sono tanti e di diversi in tutta Europa- che già si sottopongono con riluttanza ai governi nazionali e meno che mai intendono farsi dettare le regole dalle direttive dell"UE. Il disagio si estende allo spettacolo di un"Unione Europea che sembra ancora una democrazia recitativa che nasconde (fino a quando?) il peso specifico dei singoli Paesi membri, più attenta agli equilibri interni che a dotarsi di strumenti efficaci per una politica comune estera, di difesa, ambientale ed energetica.

L"euro scetticismo sta diventando contagioso. Al di là delle retoriche sull"assetto presuntamente paritario dell"UE è chiaro ormai che l"onere di uscire dalla crisi spetta agli Stati che sono in grado di far pesare il proprio orientamento prevalente. Si pensa, ma ancora non lo si dice, alla Germania che dopo essersi sobbarcata da sola gli oneri della riunificazione tedesca sembra essere ritornata la vera e unica locomotiva su cui può contare l"Europa continentale. Gli accenni di Angela Merkel sulla superiorità del modello di capitalismo renano più attento all"economia reale rispetto a quello finanziario di marca anglo sassone, inerme di fronte alle speculazioni, sono un segnale da non sottovalutare. Ma pesano anche le ambiguità della Gran Bretagna restia ad accettare fino in fondo un"Europa federale. Non è che gli Stati Uniti d"Europa, obbiettivo concepito sulla carta per fronteggiare al meglio le conseguenze della globalizzazione, ne diventeranno invece la prima vittima?

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