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Ricercatori italiani a un bivio

La bufala della fuga dei cervelli

I veri problemi sono la circolazione delle idee e gli insegnanti più vecchi del mondo

di Antonio Gesualdi - 12 febbraio 2007

Premesso che non sono tra quelli che si bevono la bufala della "fuga dei cervelli", ritengo comunque importante per un Paese mantenere un alto livello di produzione della conoscenza anche se, esportare cervelli, resta un"operazione di prestigio. Molto più che esportare scarpe.

Ma la conoscenza si fa, si dovrebbe almeno fare, nelle università o nei centri di ricerca; non certo in televisione. Un docente universitario che va in televisione, in quel tempo, non studia, non insegna e non svolge il ruolo per il quale è pagato. Sta solo perdendo tempo.

Un docente universitario non è un divulgatore, non dovrebbe scrivere sui giornali quotidiani o per signore, ma dovrebbe, tutt"al più, farsi sempre intervistare e accettare contraddittori e, soprattutto, dovrebbe pubblicare sulle riviste scientifiche internazionali. Quelli come Piero Angela possono andare in televisione o sui giornali perché, di mestiere, fanno i divulgatori. I professori devono andare in cattedra. Così nel nostro Paese, ma non lo dico io, lo dice Eugenio Picano, i ricercatori scrivono sulle riviste scientifiche, i professori a contratto scrivono sulle riviste per signore e vanno alla radio e i professori ordinari scrivono sui quotidiani nazionali e vanno in televisione. Insomma chi studia e fa ricerca sono i ricercatori, appunto. E i ricercatori italiani oltre ad essere malpagati non vengono neppure ricompensati con la fama.

E così il can-can sulla "fuga di cervelli" ha dimostrato di essere solo un espediente per dire che i giovani che fanno, seriamente, ricerca in Italia non ce ne sono perché se ne vanno all"estero. E tutto rimane come prima.

I 460 scienziati che sono rientrati in Italia negli ultimi sei anni non riescono a trovare posto nelle Università. Il programma di governo, del 2001, aveva lo scopo di "richiamare" i giovani che svolgevano ricerca all"estero. E" stato promesso un contratto di cinque anni e sono stati stanziati 3 milioni di euro in un anno per coprire gli stipendi dei ricercatori rientrati. I soldi sono ancora lì. I senati accademici non li hanno utilizzati perché hanno ritenuto il programma di rientro una forzatura "per far saltare la coda" (è scritto sulla rivista Nature!) a danno di chi è rimasto in Italia aspettando l"inserimento istituzionalizzato. Una massa di portaborse di professori il cui unico pregio è quello di saper aspettare il proprio turno.

Qui il problema, come si vede, non è quello della "fuga dei cervelli", ma della circolazione delle idee. Il nostro Paese, nelle istituzioni di eccellenza della circolazione delle idee, è completamente anchilosato. Il Consiglio Nazionale delle Università ha dichiarato che coloro che rientrano devono essere considerati alla stessa stregua dei ricercatori stranieri. Questo vuol dire che possono concorrere per una posizione che sia simile a quella che occupavano nel paese di provenienza. Per i giovani ricercatori, molti dei quali avevano all’estero delle borse di post-dottorato, questo vuol dire non poter concorrere neppure per posti da ricercatore in Italia. Un bel cavillo burocratico per fermare tutto. Come se ne esce? Aspettando che i professori muoiano. Abbiamo una classe insegnante universitaria, mediamente, più vecchia del mondo. Nel 2005 si è registrata un"età massima alla nomina di professore ordinario di 59 anni!

Tra venti-venticinque anni avremo nuova linfa nelle università. Il mondo ci aspetterà?

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