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Produttività e pil in forte calo nel 2005

La borsa cresce, l’Italia declina

Da gennaio Milano guadagna il 5%, ma la nostra economia perde colpi

di Redazione - 08 luglio 2005

Le performance delle Borse europee (e di quella italiana in particolare) nei sei mesi passati hanno dato non poche soddisfazioni agli azionisti, al contrario degli indici Usa, ancora negativi rispetto alla fine del 2004 nonostante un modesto recupero dei minimi. Insomma, siamo di fronte a una divergenza che sta diventando cronica, ma non c’è nulla da festeggiare. Negli ultimi sei mesi i più grandi mercati europei hanno guadagnato tra l’8% e l’11% con l’Italia, prima nel 2004, a un +5% circa. Negativi invece gli Stati Uniti, con lo Standard & Poor’s 500 a –2%, il Dow Jones e Nasdaq a –5%. Tenuto conto del ristagno economico e dei continui allarmi sulla crisi delle nostre imprese e di quelle europee è evidente come ci sia poco di buono in questa situazione.

Prima di tutto, la remunerazione della Borsa servirebbe se essa fosse rappresentativa del capitalismo (in Italia lo è pochissimo, ma anche in Europa non è un granché), invece ci sono poche società quotate e per nulla rappresentative. In secondo luogo, sarebbe molto meglio che tirasse l’economia reale invece che la Borsa: scambieremmo volentieri la crescita di Piazza Affari con quella del Pil americano.

Per quanto riguarda l’Italia, soprattutto per la performance dell’indice principale, lo S&P-Mib, la spiegazione dei rendimenti va cercata nella composizione del paniere: banche, assicurazioni e utilities sono le primedonne di Piazza Affari, il che significa bilanci ideali per chi cerca investimenti difensivi e anticiclici. Come quelli dell’Eni – che si giova anche della crescita del prezzo del petrolio – e dell’Enel, società che segnalano un “plus” che di certo non sfugge agli investitori internazionali: la necessità di incassare alti dividendi da parte dello Stato. Ma c’è anche la Telecom che, godendo delle rendite da ex monopolista, fa la felicità degli azionisti di minoranza. Discorso simile per banche e assicurazioni: quasi tutte garantiscono un’alta redditività grazie a margini d’interesse realizzati sotto una pressione concorrenziale non certo serrata.

Per contro, l’assenza di titoli tecnologici (con l’eccezione di Stm e di Finmeccanica) e delle imprese manifatturiere (la Fiat è incerta portabandiera del comparto) sta diventando rappresentativa di un sistema economico in piena deindustrializzazione. E in questo senso la Borsa sta mancando del tutto al suo ruolo di promotore di nuove avventure imprenditoriali e di collettore di capitali di rischio verso le imprese che vogliono crescere, come invece avviene negli Stati Uniti. Negli Usa, inoltre, le imprese si finanziano in massima parte con la Borsa. Quando l’economia rallenta non si trovano, come accade per le aziende del Vecchio Continente, con l’acqua alla gola per dover poi ripagare i debiti che hanno con le banche.

Detto questo, non ci si può meravigliare se, nonostante la crescita delle Borse, l’Italia e l’Europa non riescono a mantenere i ritmi degli Stati Uniti. Di certo l’incremento dei rendimenti azionari non ha dato uno stimolo agli investimenti, dato che la formazione di capitale fisso in Italia è addirittura attesa in calo dell’1,6% nel 2005 (fonte Ocse), contro una crescita del 2% nell’area euro e del 5,8% negli Stati Uniti. Di conseguenza, anche la produttività del lavoro ne risentirà: in l’Italia ci si aspetta un calo dello 0,4%, mentre l’eurozona farà registrare un magro +0,6%, contro il +1,9% degli Stati Uniti. Tutto questo si ripercuoterà prevedibilmente sul Pil: in Italia diminuirà dello 0,6%, in eurolandia crescerà appena dell’1,2%, un terzo esatto del valore degli Stati Uniti (3,6%).

Il futuro dell’economia italiana ed europea non è roseo, si sa. Mancano le idee, l’intraprendenza e l’audacia di mettersi in gioco. E questo rintanarsi nel fortino della speculazione finanziaria è, ancora una volta, la soluzione opposta a quella giusta. Gioire per qualche plusvalenza in più rappresenta una vera beffa.

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