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Ma il governo vuole cambiarla

La Biagi? Un’ottima legge

Prima, il mercato del lavoro italiano era uno dei peggiori del mondo industrializzato

di Davide Giacalone - 06 giugno 2007

Il governo s’appresta ad avviare la riforma della legge Biagi, ritenendo che in questa si annidino errori che favoriscono la crescita del precariato, quindi dell’incertezza sul futuro di molti giovani lavoratori. Non sarebbe corretto opporsi a queste modifiche, destinate ad introdurre tetti temporali ai contratti a termine ed a cancellare il lavoro interinale, ricordando che il lavoro intellettuale che sta dietro quella legge ha portato alla morte del suo autore, il professor Marco Biagi. Ciò è purtroppo accaduto, e la furia sanguinaria degli assassini brigatisti non fu certo mitigata dai molti spropositi che su quella legge si dissero. Ma la ragione per cui la difendo non è il sacrifico di Biagi, ma la sua intrinseca bontà. Il mercato del lavoro italiano era uno dei peggiori del mondo industrializzato, nel senso che era talmente rigido e pietrificato da produrre, al tempo stesso, disoccupazione e lavoro nero, a sua volta favorendo l’evasione fiscale. Ad introdurre i primi cambiamenti positivi fu il pacchetto Treu, dal nome di un esponente ed allora ministro della sinistra. Lo stesso Biagi, del resto, non era certo ascrivibile ad una militanza nella destra, ma svolse con impegno e serietà il suo lavoro di consulente del governo (allora Berlusconi), pagando con la vita le proprie idee. Grazie a quelle norme in Italia il tasso di disoccupazione è passato dall’11.3 per cento del 1997 all’odierno 7, si sono creati milioni di posti di lavoro che non sono solo il frutto del riassorbimento del nero, ma anche segno di vitalità produttiva ed inserimento di centinaia di migliaia di nuovi lavoratori nel mercato. Un successo pieno e la migliore performance in Europa, conseguita, per giunta, in un periodo di crescita bassa o stagnazione. Si è anche creato precariato? Ma queste sono parole pericolose, che rischiano di impedire a chi le usa di pensare correttamente.

Intanto l’alternativa non era fra lavoro stabile e lavoro a tempo determinato, ma fra quest’ultimo e la disoccupazione. Inoltre molti dei lavori a tempo determinato si sono poi stabilizzati, perché un’impresa non rinuncia volentieri ad un collaboratore che ha imparato il mestiere. E’ del tutto fuorviante fare sempre l’esempio dei lavori privi di professionalità, perché non è questa la generalità del mercato e, in ogni caso, quel tipo di prestazioni (tipo call center, per intenderci) sono per definizione degli impegni temporanei. La strada intrapresa, insomma, è quella giusta, ed è quella che meglio tutela gli interessi dei giovani. Se, invece, si fa credere loro che possa definirsi “lavoro” solo quello fisso, che non a caso di definisce “posto”, li si inganna e li si frega, perché nel mondo nel quale vivono e vivranno quel genere di “sistemazione” esisterà sempre di meno. Si può lavorare al rendere più efficienti gli ammortizzatori sociali, ad attutire il colpo della perdita temporanea di lavoro. Certamente si possono alleggerire i giovani dell’insopportabile peso di dovere pagare ad altri pensioni che loro non prenderanno (ed il governo lavora all’esatto opposto). Ma non si deve illuderli che la loro sicurezza sarà quella sperimentata dai loro nonni e talora dai loro padri, perché in questo modo li si escluderà dal mondo del lavoro.

La legge Biagi dovrebbe essere la bandiera di una moderna sinistra di governo, capace di comprendere l’evoluzione del mercato e di aggiornarvi la difesa dei più deboli. Che ne sia diventata la bestia nera, assieme alla riforma delle pensioni, è la dimostrazione di quanto siano claudicanti entrambe gli attributi: “sinistra” e “di governo”. www.davidegiacalone.it

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