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Severi giudizi sulle promesse elettorali

La Bce e la politica

Francoforte interviene legittimamente, ma non può lamentarsi se accade il contrario

di Angelo De Mattia - 26 febbraio 2008

In una conversazione con M.S. Giannini riportata ieri da “la Repubblica” l’autorevole membro dell’Esecutivo della Bce, Lorenzo Bini-Smaghi, premesso che in Italia l’inflazione è una sola ed è quella rilevata dall’indice ufficiale Istat ora al 2,9% - e non dal neonato indicatore dei prezzi dei beni ad acquisto più frequente fissato al 4,8% - segnala il rischio che, strumentalizzando quest’ultimo indicatore, si torni al clima degli anni ’70, con la reintroduzione di automatismi contrattuali, con la reviviscenza della scala mobile e del salario come variabile indipendente, con l’illusione di garantire così redditi e consumi. Segue l’evocazione – ovviamente in senso figurato – di disastri, suicidi, drammi. Non esiste oggi alcun margine per ridurre i tassi d’interesse, è una parte del dispositivo della conseguente sentenza. Poi un intervento sulla campagna elettorale, nella quale, secondo l’esponente Bce, non dovrebbero avere ospitalità “pannicelli caldi” o “sogni irrealizzabili”, che non aiutano a contrastare il declino. Dovrebbero evitarsi scorciatoie, quali gli aiuti fiscali sul reddito di cui discutono i due principali partiti o, addirittura, nostalgie da punto unico di contingenza. La ricetta: occorre affrontare le due incognite, della crescita e del risanamento dei conti pubblici, che “torna in bilico”, mentre con l’ampliamento dei differenziali tra Bund e Btp ricompare un “rischio Italia”, registrato dagli operatori anche se – ci si premura di precisare – tale pericolo non esiste per la Bce. Servono un grande patto per la produttività e la revisione del sistema contrattuale per i rapporti di lavoro.

Il tono è quello di una lezione impartita su temi – crescita, risanamento, produttività, riforme – sui quali è difficile che si possano registrare, anche per la loro trattazione necessariamente sintetica, contrasti significativi. Ma proprio per questo, la drammatizzazione del rischio delle reindicizzazioni e l’evocazione, già nel titolo dell’articolo, della paura della Bce, appaiono del tutto sproporzionate. Anzi, un malevolo potrebbe pensare che ne vien fuori un casus belli per giustificare meglio la politica monetaria della Banca di Francoforte, il cui rigore potrebbe rischiare alla lunga di tradursi in rigor mortis. Gridare “Al lupo, al lupo” contro il salario come variabile indipendente e il riferimento al punto unico di contingenza ha veramente il sapore, nel 2008, di un richiamo archeologico, tenuto conto dei programmi di gran parte dei partiti e dei sindacati. E’ quasi come sparare a una mosca con una cannonata, anche in considerazione dell’importante ruolo dell’intervistato.

Nel dibattito di questi giorni il problema che è stato sollevato è se e quale rilievo – esclusa drasticamente qualsiasi forma di automatismi o di ritorno a meccanismi di indicizzazione – può avere il nuovo indicatore elaborato dall’Istat, partendo dal presupposto che esso non sia da intendere solo come una mera esercitazione di un ente pubblico, ma costituisca un apporto conoscitivo sul quale debbono meditare i policy maker. Non sono stati certamente ipotizzati né la sostituzione dell’indice ufficiale, né l’affiancamento a quest’ultimo del nuovo indicatore. Dati i limiti del suddetto rilievo, se ne può discutere, anche per i profili della redistribuzione, senza che la Bce emetta preventive sentenze irrevocabili, anzi rifletta di più su ciò che si sarebbe potuto fare per concorrere a impedire l’impennata dei prezzi in occasione della conversione delle monete nell’euro? E, sempre la Bce, colga le occasioni pubbliche anche per più trasparenti esplicitazioni della linea di politica monetaria – mentre la Fed riduce i tassi anche quando negli Usa sale l’inflazione – e degli interventi di contrasto della crisi finanziaria internazionale?

Infine, siamo di fatto in campagna elettorale. Nulla quaestio che sui relativi temi intervenga, pure con riferimento ai programmi dei partiti, una banca centrale. E’ legittimo. Può far parte di una fisiologica dialettica istituzionale. Non c’è solo l’autolimitazione. Naturalmente, ciò comporta che non ci si straccino le vesti e si invochino (maldestramente) il Trattato Ue e forse anche i principi del diritto internazionale (poco manca che qualche volta si risalga a Grozio, De Vitoria, etc), se poi, per esempio, esponenti del governo francese muovono critiche o fanno osservazioni sulle politiche della Bce. Non esistono separatezze extraterritoriali. La dialettica, per la contradizion che nol consente, non è a senso unico; se correttamente svolta, può invece produrre risultati proficui.

Pubblicato su L"Unità di martedì 26 febbraio

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