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Caso Bnd-Cia-Iraq: la Germania nello scandalo

L’ovvia autonomia dell’intelligence

Da sempre i servizi segreti estranei alle regole della democrazia. Polverone inutile a Berlino

di Antonio Picasso - 01 marzo 2006

Molto rumore per nulla, verrebbe da dire. La Commissione di controllo parlamentare tedesca si riunirà lunedì per occuparsi delle accuse rivolte ai servizi segreti federali, il BundesnachrichtendienstBnd, sul caso Bnd-Cia-Iraq, in seguito alle rivelazioni pubblicate dal New York Times, secondo cui due agenti tedeschi avrebbero passato informazioni, sui piani di Saddam Hussein per la difesa di Baghdad, agli Stati Uniti prima dell’attacco americano.
L’inchiesta ha suscitato un forte scandalo in seno all’opposizione. E ha messo la cancelliera Angela Merkel in imbarazzo. L’allora governo tedesco – composto dalla coalizione tra socialdemocratici e verdi e guidato da Gerhard Schröder – aveva manifestamente dichiarato la propria neutralità nei confronti dell’operazione militare che gli Stati Uniti hanno poi intrapreso contro l’Iraq. Adesso, però, si viene a scoprire che, nonostante il manifesto pacifismo, Berlino avrebbe reso partecipe Washington delle informazioni in suo possesso circa il regime di Saddam.
Dov’è lo scandalo? Il fatto che la neutralità militare non coincida con una posizione ben più schierata per quanto riguarda i rispettivi servizi di intelligence? E che quindi quel tanto ostentato e applaudito pacifismo – salutato in Europa, e soprattutto in Italia, con un tripudio di bandiere arcobaleno – oggi si riveli solo di facciata e privo della spontaneità percepita invece nel 2003?
Certo, non è un caso che siano proprio i verdi a rifiutare nel modo più netto le insinuazioni del quotidiano d’oltreoceano. Perché, ai tempi, era proprio il loro leader, Joschka Fischer, a essere ministro degli Esteri e a marcare il passo di quella nuova diplomazia tedesca tanto anti-Usa, ma soprattutto che ripudiava la guerra “senza se e senza ma”. La conferma di questa fuga di notizie metterebbe a repentaglio tutta la relativamente buona immagine che Berlino si era fatta agli occhi delle sinistre più contestatarie. Tuttavia, a prescindere dalla perdita di credibilità che rischia la coalizione “rosso-verde” di allora – quella della Merkel, suo malgrado, sarebbe solo costretta a raccogliere i cocci di un incidente commesso dai suoi precedessori – si fa difficoltà a trovare altri motivi per sollevare uno scandalo. La Germania, infatti, a prescindere dalle posizioni assunte tre anni fa, resta comunque un valido alleato degli Stati Uniti. La sua adesione alla Nato non è mai stata messa in discussione, e ciò la vincola nei confronti di Washington. Peraltro, si potrebbe aggiungere che Schröder agì in questo modo nell’ombra con la speranza di ricevere qualcosa in cambio. Vale a dire quell’appoggio della Casa bianca che tanto serviva al cancelliere, in ottobre 2005, per far ottenere al suo Paese l’agognato seggio permanente alle Nazioni unite.
Tuttavia resta da chiedersi perché i servizi segreti di due Paesi reciprocamente alleati, Germania e Usa, avrebbero dovuto rompere i rapporti. Schröder aveva dichiarato la neutralità nella guerra, ma non la totale chiusura al dialogo e alla collaborazione. Giustificato, oltre che ovvio, lo scambio di informazioni tra i due intelligence. I servizi di un qualsiasi paese operano sopra le righe e le regole della democrazia e della diplomazia. Così ha fatto quello tedesco oggi. Lo hanno sempre fatto la Cia, l’Mi5 e il Mossad. Perché scandalizzarsi?

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