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Public Policy

La pagella della democrazia

L’Italia non arriva al cinque

A rischio funzionamento delle istituzioni, libertà dei media e rispetto della legalità

di Giuseppe Mazzei - 17 maggio 2005

“L’Italia non supera i quattro test democratici americani”. Non è una battuta di Beppe Grillo o una piagnucolosa sentenza emessa da qualche liberaldemocratico in libertà provvisoria. No. E’ il titolo con cui il Sole 24Ore dell’8 maggio ha ben sintetizzato un articolo a quattro mani di Alberto Alesina, economista di punta di Harvard, e di Mario Platero corrispondente del quotidiano confindustriale da New York.

I due studiosi elencano i mali della democrazia italica: il dibattito politico, la libertà dei mezzi di comunicazione, il rispetto della legalità, la protezione delle minoranze. Se Bush invece di fare l’esame a Putin, facendolo irritare, l’avesse fatto al suo amico del cuore Silvio, avrebbe dovuto bocciarlo o rimandarlo a settembre, come si faceva una volta.

Sarà vero? Vediamo.

  • E’ vero che il dibattito politico e il funzionamento delle istituzioni è un capolavoro di opacità e di confusione: si parla di bipolarismo, e il bipolarismo non c’è; si parla di premier e a stento c’è un Presidente del Consiglio in cerca di longevità governativa; se Locke e Montesquieu vedessero la confusione tra i poteri dello Stato fuggirebbero inorriditi; si parla di primato del Parlamento, ma due Camere fotocopia lavorano tre giorni a settimana, di sessione conoscono solo quella, lunghissima, della finanziaria e le leggi e leggine che sfornano a getto continuo sembrano scritte per procurare clienti agli studi legali, fascicoli per i tribunali civili, e talora penali, tonnellate di ricorsi ai vari TAR. Voto 4.
  • La libertà dei mezzi di comunicazione sostanzialmente non esiste. E non perché la televisione pubblica, come scrivono Alesina e Platero, è lottizzata. Anche nella Prima Repubblica lo era (io c’ero), ma allora i leader politici avevano il senso del limite. La libertà di stampa è al lumicino perché non esistono, se non in misura residuale, editori puri che producano giornali per guadagnarci e non per fare lobbying, flirtando con i poteri politici a tutti i livelli per ottenere benefici, entrando a gamba tesa contro i concorrenti o nemici del loro business, utilizzando l’informazione per altri scopi. E continua quello scempio di democrazia che si chiama “contributo del governo per l’editoria”, giustificabile nel periodo in cui le vecchie linotype dovevano essere sostituite, ma da tempo forma di assistenzialismo nefasto. Quanto alla qualità del giornalismo che viene prodotto, parlano da sole le cifre: si vende lo stesso numero di giornali di 50 anni fa, quando gli analfabeti erano tanti, e fuori dalle redazioni. Se la Rai fosse privatizzata cambierebbe in meglio il sistema? Una privatizzazione alla Gasparri è un non senso. Il servizio pubblico o è tutto pubblico oppure si mette all’asta e allora diventa un prodotto offerto allo Stato da uno o più privati. Ma è meglio un servizio pubblico unitario che spezzettato, necessario per garantire all’opinione pubblica informazione indipendente, serena, coraggiosa e intrattenimento di qualità. La ricetta? Raddoppiare il canone (costerebbe quanto l’ultimo dei telefonini che le mamme regalano ai bambini di terza elementare), togliere la pubblicità, far nominare i vertici col meccanismo del gradimento dei due terzi del Parlamento. Scommettiamo che non succederà mai? Voto 4.
  • Il rispetto della legalità è ormai il tema preferito più dai delinquenti che dalle persone per bene. I primi, in nome della legalità, pagando bravi avvocati, alzano steccati garantisti per non scontare un giorno di pena, per ottenere sconti e trattamenti di favore, per allungare processi fino alla prescrizione dei reati. Le persone per bene hanno paura della giustizia, perché sanno che difficilmente la farebbero franca se, innocenti, ma sospettati magari ad opera di pentiti o inquirenti incapaci, finissero nel mirino della giustizia. Quanto alla qualità dei nostri inquirenti, basta passare in rassegna non solo le stragi senza colpevoli, ma anche i più banali omicidi che dopo 15-20 anni vedono ancora prove non esaminate. D’altronde i processi ormai i giudici (non) li fanno a “Porta a porta”. E che dire del controllo del territorio ad opera della grande criminalità, della lunghezza incivile dei processi che assicurano impunità ai colpevoli e danni enormi agli innocenti? “Mi faccia causa” titolava un vecchio film alla Sordi. Ed è questa, in Italia, la peggiore minaccia che possa fare un delinquente ad una persona per bene. Voto 3.
  • La protezione delle minoranze in realtà non vede l’Italia soccombere rispetto ad altre democrazie più solide. Non condivido Alesina e Platero quando scrivono di una sorta di intolleranza verso l’integrazione degli immigrati. Non è così. Almeno in questo qualche lezione la potremmo anche dare. Basta vedere come abbiamo trattato le ondate di immigrati nei centri di accoglienza, come offriamo pari opportunità a marocchini e cingalesi di aprire negozi e come tolleriamo a due passi da Palazzo Chigi, nel cuore di Via Condotti, banchetti di false Prada e Tod’s. Voto 7.

Facendo la media, abbiamo 4 e mezzo.

Non c’è di che. Il problema è che non se ne parla e che l’adagio “tutto va ben madama la marchesa” che ci ha messo i paraocchi davanti al declino ci sta facendo perdere terreno non solo nella classifica della competitività (53° posto) ma anche in quello della democrazia.

Esportare la democrazia, con i neocon filo-Bush e i più avveduti ex-com(unisti) alla D’Alema? Certo. Ma è necessario anche importare la democrazia in Italia, visto che quella che c’è è insufficiente e mal ridotta. Per fortuna, oltre che per la moneta anche per la difesa della democrazia l’aggancio all’Europa ci salverà. Ma sbrighiamoci. Altrimenti dall’India e dalla Cina, insieme alle magliette e ai computer tra poco importeremo anche la democrazia.

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