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Public Policy

L’analisi di Sidney Blumenthal

L’Italia fuori tema

Le tradizioni europee dei nostri partiti si sono perse nei meandri della Seconda Repubblica

di Antonio Gesualdi - 27 ottobre 2005

Non ci capiamo più. La politica è anche idealità. Rutelli chiede a Fassino di uscire dal Partito socialista europeo. Improponibile anche se, appunto, si chiamano "diesse" mentre i compagni europei vengono da partiti socialisti o laburisti.

In questa Seconda Repubblica abbiamo perfino pasticciato sui nomi oltre che sulle leggi elettorali e la Costituzione: abbiamo, appunto, i diessini ma anche i forzisti-italioti. Abbiamo i rifondatori ma pure gli aennisti e non ultimi gli udiccini e gli uderisti e gli "sdi", i dipietristi e i margheriti.

Ma dove si colloca, idealmente, tutta questa roba nella tradizione europea? O siamo grandi innovatori o siamo fuori tema.

Così la sinistra moderna - che su questi temi è più sensibile - si trova a dover trattare la tenuta nel riconoscimento in un raggruppamento che fa capo alle tradizioni ideali e storiche e contemporaneamente promuovere sempre nuove letture di riformismo, socialdemocrazia o partito democratico. O quello che si vuole. Fortuna che la Cina va di moda solo nell'economia altrimente ci ritrovavamo anche con qualche nuovo maoismo.

La questione è, invece, abbastanza semplice: i socialdemocratici (quelli veri che non trattano neppure con i comunisti come ha fatto Schroeder) sono tedeschi. I comunisti sono nell'Europa dell'Est. I laburisti sono inglesi. I socialisti sono o francesi, o italiani o spagnoli. I democratici sono statunitensi. Unica eccezione in tutta l'Europa occidentale sono i comunisti italiani; oggi divisi in tre diversi partiti. Questo è il panorama reale, ovvero quello nel quale i cittadini esprimono un voto e che appartiene alla cultura e alle diverse tradizioni di centinaia di milioni di europei.

Invece accade che un giornalista americano, Sidney Blumenthal, venga chiamato a consulto per costruire "un nuovo riformismo" italiano come rivela il Corriere della Sera.

Blumenthal si esprime con una certa crudezza e dice a Federico Fubini: "La globalizzazione è innegabile. La forma che assumerà non la conosciamo, eppure di fronte a questa realtà l'Europa sembra paralizzata nell'immobilismo: la Francia respinge la Costituzione Ue, Chirac è in un vicolo cieco, Berlusconi è sostanzialmente un pagliaccio, la Germania alle elezioni ha scelto di non andare da nessuna parte e Blair si è dimostrato incapace di smuovere l'Europa: l'alleanza con Bush ha brutalmente ridotto la sua influenza".

Mi viene in mente la lezione di Michael Howard, professore di Storia Moderna a Oxford, che amava ripetere quando parlava delle "vere lezioni della storia" che "esse toccano a soggetti spesso di grande intelligenza, generalmente addottorati in giurisprudenza o in economia o eventualmente in scienze politiche, i quali hanno portato i loro governi a commettere disastrosi errori di calcolo perché completamente all'oscuro del retroterra storico e dell'universo culturale delle società straniere di cui bisognava occuparsi. Non c'è né analisi economica, né tecnica di gestione delle crisi o di superamento dei conflitti che possa sostituire questa conoscenza."

"Quando si creano nuove condizioni - spiega Blumenthal - come nel mondo di oggi, servono soluzioni nuove". Più nuovo che chiamarsi "margheriti" o "forzisti" o "diessini" cosa c'è ancora?

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