Nel tessile crisi strutturale, no ai palliativi
L’Italia e la sindrome di Penelope
Usare il protezionismo contro la Cina è come curare l'influenza con le caramelledi Enrico Cisnetto - 12 settembre 2005
Effetto placebo per il tessile europeo. Il tanto applaudito accordo Ue-Cina per sbloccare i circa 87 milioni di prodotti provenienti dall’Oriente e fermi nei porti comunitari, è una caramella allo zucchero per curare un’influenza da tempo ormai cronica, e che non è dovuta alle importazioni ma al persistere in Europa (soprattutto in Italia e Francia) di produzioni ormai obsolete nell’ambito di un mercato globale da cui è impossibile prescindere. Appena tre mesi, infatti, è durata l’intesa che aveva fissato quote d’ingresso per numerosi articoli, e adesso a poco o a nulla servirà la parziale detrazione dalle quote previste per il 2006, o il cambio di categoria merceologica concesso ad alcune produzioni. Il problema è a monte. La produzione tessile è destinata in breve tempo a ridimensionarsi drasticamente. Le ragioni sono semplici: il costo del lavoro in Italia è 40 volte superiore a quello cinese (15,6 dollari l’ora contro 0,41), le ore medie lavorate da un operaio di Pechino sono 2200 l’anno contro le 1600 di un nostro connazionale, i produttori orientali pagano l’energia elettrica un terzo che nella Ue. E’ del tutto inutile, perciò, continuare a socchiudere le porte dei nostri mercati ai filati cinesi. Anche perché queste limitazioni sarebbero nocive per le nostre imprese, sia quelle che in Asia delocalizzano sia quelle impegnate a cercare di sfruttare al meglio i 100 milioni di cinesi ricchi, potenziali clienti.
Fanno sorridere le dichiarazioni dei rappresentanti dei produttori tessili europei quando invocano a Bruxelles maggiore rigore e minacciano nuove chiusure di stabilimenti e nuova disoccupazione. Ma non sono gli stessi che hanno trasferito le produzioni in Cina per recuperare competitività? E non sono forse quegli imprenditori che fino a ieri accusavano (giustamente) il sindacato di difendere posti di lavoro obsoleti? E perchè le imprese obsolete dovrebbero essere protette? Bloccare del tutto l’arrivo delle merci, come qualcuno di loro chiede e come hanno fatto in alcuni casi gli Stati Uniti, ci darebbe respiro solo per qualche mese. Si dice: ma gli asiatici competono slealmente. Rispondo: avete mai visto un capitalismo allo stato nascente che applica le stesse regole di quello maturo? Il nostro boom economico post-bellico, sulle cui fondamenta ancora viviamo, non aveva forse caratteristiche simili? E comunque che facciamo, mandiamo i caschi blu dell’Onu o esportiamo Epifani e Bertinotti?
E’ controproducente dare al tessile l’illusione di poter continuare come prima, cosa possibile solo per quelle produzioni specializzate e di alta qualità che meritano il marchio made in Italy. La cui difesa e valorizzazione sarà tanto più facile quanto più si avrà il coraggio di separarle dal mass market.
Pubblicato sulla Sicilia dell’11 settembre 2005
Fanno sorridere le dichiarazioni dei rappresentanti dei produttori tessili europei quando invocano a Bruxelles maggiore rigore e minacciano nuove chiusure di stabilimenti e nuova disoccupazione. Ma non sono gli stessi che hanno trasferito le produzioni in Cina per recuperare competitività? E non sono forse quegli imprenditori che fino a ieri accusavano (giustamente) il sindacato di difendere posti di lavoro obsoleti? E perchè le imprese obsolete dovrebbero essere protette? Bloccare del tutto l’arrivo delle merci, come qualcuno di loro chiede e come hanno fatto in alcuni casi gli Stati Uniti, ci darebbe respiro solo per qualche mese. Si dice: ma gli asiatici competono slealmente. Rispondo: avete mai visto un capitalismo allo stato nascente che applica le stesse regole di quello maturo? Il nostro boom economico post-bellico, sulle cui fondamenta ancora viviamo, non aveva forse caratteristiche simili? E comunque che facciamo, mandiamo i caschi blu dell’Onu o esportiamo Epifani e Bertinotti?
E’ controproducente dare al tessile l’illusione di poter continuare come prima, cosa possibile solo per quelle produzioni specializzate e di alta qualità che meritano il marchio made in Italy. La cui difesa e valorizzazione sarà tanto più facile quanto più si avrà il coraggio di separarle dal mass market.
Pubblicato sulla Sicilia dell’11 settembre 2005
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.