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E dopo la Cdl, arriva il PPL

L’intervista a Enrico Cisnetto

L’iniziativa politica di Silvio Berlusconi: pro e contro

di Presidente Società Aperta - 27 novembre 2007

Silvio Berlusconi, con il suo annuncio, ha sparigliato le carte utilizzando dei termini che sono propri al ragionamento di Società Aperta. Conferma?

Il Cavaliere ha fatto una cosa importante, che gli ha consentito di ribaltare la sconfitta mediatica (la spallata non riuscita sull’approvazione della finanziaria al senato), di conquistare il centro del ring politico, di smettere di essere un leader malsopportato e criticato nella sua coalizione. E si è mantenuto aperte tutte le strade rispetto agli scenari possibili, ovvero tanto quello di andare a votare presto, di mettersi intorno a un tavolo per fare una nuova legge elettorale, quanto quello di andare al referendum, ipotesi per lui non necessariamente negativa visto che la legge che ne scaturirebbe sarebbe sicuramente a lui favorevole. Nello stesso tempo ha avuto la grande capacità di offrire ai cittadini italiani un messaggio che suonerà positivo: da un lato ha detto “io sono un semplificatore, faccio un’Opa per far sparire i partiti più piccoli, e sono in grado di fare autocritica; quindi, così come l’ho inventato, ammazzo questo bipolarismo che non funziona. E se al posto di Prodi come interlocutore c’è Veltroni, posso concludere la contrapposizione e il muro contro muro, aprendo al dialogo”. Dall’altro da detto “sono cosciente del fatto che l’esperienza di governo 2001-2006 ha rappresentato una delusione, ma il fallimento è stato colpa dei miei alleati, ai quali ho dato un calcio nel sedere”. Quindi, complessivamente, in termini di marketing politico l’atto è stato senz’altro positivo. Nel far questo, Berlusconi ha usato una serie di parole d’ordine che sono proprie di Società Aperta: fine del bipolarismo armato, proporzionale, capacità decisionale del governo, dialogo con l’altra parte. Tutte cose che noi abbiamo auspicato, avendo persino proposto la Grande Coalizione. In realtà, se andiamo a grattare la superficie, ci accorgiamo che l’ex premier ha proposto non più un bipolarismo ma un bipartitismo, in quanto ipotizza una polarizzazione del sistema politico da una parte intorno al nuovo partito che sta creando, e dall’altra intorno al PD. Se poi questo meccanismo mette ai lati altri due soggetti come la “Cosa Rossa” e la “Cosa Nera”, ecco che questo darebbe ai suddetti partiti maggiori una maggiore legittimazione. Ha parlato di proporzionale, ma in realtà le due ipotesi sul tavolo sono di tipo maggioritario, perché quella che uscirebbe dal referendum, che io continuo a pensare sia quella che piace di più sia a Berlusconi che a Veltroni, porterebbe a dare un premio di maggioranza al singolo partito invece che alla coalizione; quella invece che nascerebbe dall’accordo tra i due in Parlamento non potrebbe che portare a una forte concentrazione maggioritaria. La proposta, che Veltroni ha fatto propria, del professor Vassallo, va esattamente in questa direzione: nel momento in cui si mischiano sistema tedesco e spagnolo, “italianizzandoli”, con una soglia di sbarramento tra l’8 e il 12%, evidentemente si crea una forzatura maggioritaria. Infine, il discorso del dialogo non porta alla Grande Coalizione, ma all’inciucio: se Berlusconi si è assunto la responsabilità di dare un calcio nel sedere a Fini e a Casini, è perché ha un accordo già fatto con il suo nuovo interlocutore. E’ finito il tempo dell’accordo di fatto con D’Alema e con Prodi, quando i due avversari si legittimavano l’un l’altro, adesso è il momento dell’inciucio Berlusconi-Veltroni.

Veltroni, appunto, dice che il 2008 sarà l’anno delle riforme, ha aperto la discussione sulla legge elettorale ma soprattutto su quelle istituzionali. Che ne pensa Società Aperta?

Società Aperta ha sempre detto che modificare la legge elettorale disgiuntamente dagli assetti istituzionali è una scemenza. In primo luogo perché i problemi del sistema politico non possono essere risolti soltanto con una legge elettorale, e questo lo dimostra la legge uscita dopo il referendum Segni, che avrebbe dovuto semplificare il quadro politico e invece ha moltiplicato i partiti. E poi, perché una legge elettorale di tipo francese, ad esempio, non può non accompagnarsi al presidenzialismo, così come la proporzionale tedesca presuppone il cancellierato e l’assetto istituzionale teutonico. Ma per evitare il bis della Bicamerale di dalemiana memoria, credo che sia bene fare l’Assemblea Costituente. Quale luogo migliore per ridisegnare l’assetto del Paese? Naturalmente, se si ha un atteggiamento laico nei confronti delle istituzioni, che presuppone di rifiutare sia l’idea di buttare tutto e ricominciare da capo, sia quella di non toccare nulla perché tutto è sacro, si può ripensare l’assetto – compreso quello derivante dal federalismo così come si è formato in questi anni – e pensare di poter rifare la storia. Apparentemente, ciò che si scontra con questo ragionamento è che della legge elettorale abbiamo bisogno subito, mentre i tempi dell’Assemblea Costituente sarebbero lunghi. Per ciò che mi riguarda, francamente, se fossi sicuro che si possa inaugurare una stagione costituente, potrei anche pensare di iniziare una nuova legislatura con il vecchio sistema elettorale.

E nell’ambito di un’Assemblea costituente si può pensare di passare al presidenzialismo?

Questo passaggio noi l’abbiamo già fatto in maniera “strisciante”, in modo però più plebiscitario che presidenziale. Il concetto di democrazia presidenziale presuppone la creazione di istituzioni forti e non di uomini forti. E c’è una differenza fondamentale tra le due cose: istituzioni forti richiedono statisti all’altezza del ruolo. Avendo solo uomini forti senza il vantaggio delle istituzioni, a rischiare è la democrazia. Io credo che in questi anni abbiamo fatto un doppio errore: da un lato abbiamo cambiato la Costituzione senza dirlo, e questo non si può fare. Dall’altro, l’abbiamo messa in termini plebiscitari: il nome del candidato sulla scheda, il premio strisciante di maggioranza. Tutte forzature che portano a una situazione anomala perché un sistema presidenziale nasce con i suoi contropoteri. E’ del tutto evidente che il presidente americano ha molto potere, ma ciò viene bilanciato dal Congresso; e tra i due soggetti ci può essere un rapporto potenzialmente conflittuale. Quindi, si può benissimo adottare il sistema americano o quello francese, ma bisogna dirlo ai cittadini e poi implementarlo, non prenderne in considerazione soltanto un pezzo. Qui abbiamo avuto, e l’inciucio tra Walter e Silvio lo accentua, un sistema fondamentalmente cesaristico. Il fatto stesso che si vada verso un bipartitismo con due partiti “liquidi”, uno che ancora non esiste anche se se ne discute come se già ci fosse, l’altro che ha eletto il suo leader prima di determinare una struttura propria e avere degli iscritti, e ha copiato l’idea americana delle primarie senza però avere nessun controllo. Le primarie, negli Usa, non si fanno andando al gazebo e pagando qualche dollaro, ma sono frutto di regolamentazione e controlli: non si può sparare che a votare sono andati alcuni miliardi di persone, questi processi democratici sono cose serie. Quello che possiamo fare è, invece, operare una scelta. Io ritengo che, non avendo istituzioni forti, con dei leader che sono delle macchiette e avendo dei partiti finti, le istituzioni democratiche dobbiamo tenercele ben strette.

E quale sarà il prossimo passo di Società Aperta in termini di iniziativa pubblica?

Non c’è dubbio che la situazione richieda un tentativo serio – non so se sia l’ultima occasione, come dice il mio amico Pezzotta, ma certamente non è facile immaginare che ce ne siano delle altre successivamente – affinché tutta quella nebulosa di soggetti che non si riconoscono né in Berlusconi, né in Veltroni o Prodi, siano disposti a trovare in loro le ragioni della convergenza (che naturalmente non possono fermarsi solo all’essere contro qualcuno, ma debbono trovare una base di progetto condiviso per il Paese). Questo comun denominatore, poi, che si chiami operazione neocentrista, “Cosa Bianca”, “Cosa Verde” o “Cosa Gialla” significa fare dei tentativi per verificare se in questo Paese c’è una componente riformista e moderata, di origine laico-liberaldemocratica e cattolico-liberale, che si possa mettere insieme su un progetto per il Paese. Se questo è possibile, io credo che si possa rompere la logica inciucista tra il Partito Democratico e il nascente Partito del Popolo delle Libertà, e si possa fare un’operazione nell’interesse di tutti. Se ciò dovesse fallire, è chiaro che alla stagione pessima della Seconda Repubblica ne succederà una ancora più negativa di una Terza Repubblica che nasce sotto i peggiori auspici. Società Aperta ha sempre detto che non serve semplicemente voltare pagina, ma che bisogna vedere cosa si scrive in quella successiva. E non è detto che sia di per sé meglio di quello che c’è stato prima. E’ lo stesso ragionamento degli anni ’92-’94: si diceva che la Seconda Repubblica sarebbe stata sicuramente meglio della Prima, poi abbiamo dovuto constatare ben presto che così non è stato. Non vorrei essere costretto a constatare tra poco che la Terza è peggio della Seconda. Da questo punto di vista, Società Aperta è impegnata a tentare di mettere insieme tutte quelle forze che possono concorrere a far sì che la Terza sia meglio della Seconda.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.