Sbagliato considerarla una legge ad personam
L’innocenza è inappellabile. Finalmente
La riforma riequilibra i rapporti tra accusa e difesa e garantisce i più debolidi Davide Giacalone - 13 gennaio 2006
La riforma che introduce l’inappellabilità delle sentenze d’assoluzione è giusta ed opportuna. Si possono avere opinioni diverse, naturalmente, ma dire che si tratta di un provvedimento preso per favorire Berlusconi, già assolto in primo grado in uno dei procedimenti che lo riguardano, è una tesi sciocca ed infantile. Si tratta, assieme a quella che riguarda l’ordinamento giudiziario, della più importante riforma fatta in questa legislatura, in tema di giustizia, e mira a difendere gli interessi dei più deboli.
Se, in primo grado, l’imputato è condannato, egli può presentare ricorso in appello, se, invece, è assolto, il pubblico ministero non può chiedere che sia processato una seconda volta. Funziona già così nei sistemi accusatori, quale il nostro vorrebbe essere. Funziona così negli Stati Uniti. Da noi c’è chi strepita, sostenendo che, in questo modo viene meno la parità fra accusa e difesa. Ma la parità deve riferirsi alle condizioni dibattimentali, e, difatti, presuppone una totale estraneità del giudice da ambo le parti, cosa che da noi non è, perché una vasta area, e quasi tutta la sinistra, s’oppone ad una sana, giusta e razionale separazione delle carriere.
Fuori dal momento dibattimentale, quindi dal processo vero e proprio, la parità fra le parti non esiste, ed è a tutto vantaggio dell’accusa. Da un lato, difatti, si trova la procura, con un magistrato (o più) pagato dallo Stato, che può disporre a piacimento della polizia giudiziaria ordinando pedinamenti, perquisizioni, intercettazioni, rogatorie all’estero, tutte attività costose e tutte a carico dello Stato. Attività opportune, intendiamoci, ma che certo squilibrano le indagini, dato che, dall’altra parte, c’è solo l’indagato e l’avvocato che potrà pagarsi. Il rapporto è tanto impari che il nostro codice contiene la più ignorata e violata delle norme: quella che prevede il pubblico ministero raccolga prove anche a favore della difesa.
Dopo questa fase si arriva al processo, dove le parti tornano (o dovrebbero tornare) ad essere pari. Ecco, se il giudice dichiara innocente l’imputato, è giusto che la cosa si fermi lì. Punto: la procura non è stata capace di scoprire il colpevole. Continuare, come fino a ieri si poteva fare, è un accanimento che ripropone lo squilibrio delle parti, fra chi lavora interamente spesato e chi deve pagarsi il difensore. Minore e la capacità economica dell’imputato, maggiore è il beneficio portatogli dalla riforma.
C’è un problema di coerenza costituzionale? Non credo, perché la Costituzione (art. 111) parla dei ricorsi per Cassazione, che rimangono, mentre è evidente che l’intero impianto dei tre gradi di giudizio è stato concepito a difesa delle garanzie dell’imputato. Semmai c’è un problema di coerenza generale. Quando, molto tempo prima che il Parlamento cominciasse ad occuparsene, proponevo l’introduzione dell’inappellabilità aggiungevo che con questa si sarebbe potuto anche intaccare il principio d’innocenza, nel senso che poteva darsi qualche conseguenza ad una prima sentenza di condanna (solo per fare un esempio: le cauzioni).
In ogni caso, la riforma va nel senso della difesa dei diritti del cittadino e delle parti più deboli, oltre a snellire il lavoro (spesso inutile) giudiziario. Va nella direzione giusta.
Se, in primo grado, l’imputato è condannato, egli può presentare ricorso in appello, se, invece, è assolto, il pubblico ministero non può chiedere che sia processato una seconda volta. Funziona già così nei sistemi accusatori, quale il nostro vorrebbe essere. Funziona così negli Stati Uniti. Da noi c’è chi strepita, sostenendo che, in questo modo viene meno la parità fra accusa e difesa. Ma la parità deve riferirsi alle condizioni dibattimentali, e, difatti, presuppone una totale estraneità del giudice da ambo le parti, cosa che da noi non è, perché una vasta area, e quasi tutta la sinistra, s’oppone ad una sana, giusta e razionale separazione delle carriere.
Fuori dal momento dibattimentale, quindi dal processo vero e proprio, la parità fra le parti non esiste, ed è a tutto vantaggio dell’accusa. Da un lato, difatti, si trova la procura, con un magistrato (o più) pagato dallo Stato, che può disporre a piacimento della polizia giudiziaria ordinando pedinamenti, perquisizioni, intercettazioni, rogatorie all’estero, tutte attività costose e tutte a carico dello Stato. Attività opportune, intendiamoci, ma che certo squilibrano le indagini, dato che, dall’altra parte, c’è solo l’indagato e l’avvocato che potrà pagarsi. Il rapporto è tanto impari che il nostro codice contiene la più ignorata e violata delle norme: quella che prevede il pubblico ministero raccolga prove anche a favore della difesa.
Dopo questa fase si arriva al processo, dove le parti tornano (o dovrebbero tornare) ad essere pari. Ecco, se il giudice dichiara innocente l’imputato, è giusto che la cosa si fermi lì. Punto: la procura non è stata capace di scoprire il colpevole. Continuare, come fino a ieri si poteva fare, è un accanimento che ripropone lo squilibrio delle parti, fra chi lavora interamente spesato e chi deve pagarsi il difensore. Minore e la capacità economica dell’imputato, maggiore è il beneficio portatogli dalla riforma.
C’è un problema di coerenza costituzionale? Non credo, perché la Costituzione (art. 111) parla dei ricorsi per Cassazione, che rimangono, mentre è evidente che l’intero impianto dei tre gradi di giudizio è stato concepito a difesa delle garanzie dell’imputato. Semmai c’è un problema di coerenza generale. Quando, molto tempo prima che il Parlamento cominciasse ad occuparsene, proponevo l’introduzione dell’inappellabilità aggiungevo che con questa si sarebbe potuto anche intaccare il principio d’innocenza, nel senso che poteva darsi qualche conseguenza ad una prima sentenza di condanna (solo per fare un esempio: le cauzioni).
In ogni caso, la riforma va nel senso della difesa dei diritti del cittadino e delle parti più deboli, oltre a snellire il lavoro (spesso inutile) giudiziario. Va nella direzione giusta.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.