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Inutili anche le misure annunciate sull’Ici

L’incognita della politica economica

Tante parole, poca concretezza. Nessun disegno strategico forte dietro ai discorsi dell’esecutivo

di Enrico Cisnetto - 16 maggio 2008

Quale sarà la cifra della politica economica che il Governo neo-fiduciato adotterà, non è ancora dato sapere. Non lo ha chiarito la campagna elettorale, dove si è indugiato come al solito a promesse le più varie. Né tantomeno lo si è capito dal discorso programmatico del presidente del Consiglio, che sarà stato anche epocale – mah!? – come molti si sono affrettati a sostenere per il “clima di dialogo” che si è finalmente creato nella italica politica, ma certo nulla di concreto ha detto sulle intenzioni dell’esecutivo, al di là della reiterata invocazione berlusconiana all’ottimismo – peraltro in contrasto con la tardiva presa d’atto del declino italiano, tradotta nel più volgare “dovremo tirare la cinghia” – e della conferma che si partirà da Ici e detassazione degli straordinari.

Quanto al titolare del dicastero dell’Economia, molto sappiamo del suo nuovo look intellettuale – stile no-global che vuole fermare la globalizzazione – ma poco del progetto paese che dovrebbe avere in testa, salvo l’idea di partire da punizioni esemplari per chi in questi anni ha guadagnato molto (banche, petrolieri, manager con stipendi e bonus d’oro). Qualche traccia in più l’abbiamo invece avuta dal suo collega Scajola, che da giorni indica nel ripristino del nucleare la priorità della politica energetica e industriale. Scelta più che condivisibile, ma che presto dovrà tradursi in un dettagliato timing per evitare che si traduca nel solito inconcludente tormentone da “dibbbattito”. Mentre sul fronte welfare e dintorni rappresentano una certezza in sé le nomine di Sacconi e Brunetta, anche se ci permettiamo di dare ai due amici un sommesso consiglio sull’opportunità di sintonizzarsi sul piano tattico – sulle strategie di fondo sappiamo esserci una totale convergenza, condivisa da chi scrive – visto che il ministro del Welfare ha esordito con una prudenza nei confronti del sindacato tanto insolita per lui quanto condivisibile, e al contrario il titolare del ministero della Funzione Pubblica ha addirittura scomodato Mao per manifestare le proprie intenzioni bellicose.

Detto questo, qualche iniziale valutazione può essere fatta, pur con la prudenza del caso, sulla base delle prime indicazioni che abbiamo provato a riassumere, oltre che dell’ormai consolidata conoscenza degli interlocutori (da Berlusconi in giù, la squadra non è molto diversa da quella del 2001-2006). Prima considerazione: la crescita economica è – per fortuna – il mantra fondamentale del Governo, ma intorno a questa scelta non si profila un disegno strategico forte, sia perché non si è fino in fondo metabolizzato il concetto di declino, non si sono analizzate le sue diverse implicazioni, sia perché la politica industriale – nonostante la giusta ripulsa del “giavazzismo” da parte di Tremonti – rimane un tabù, o comunque una potenzialità inesplorata. Il caso Alitalia – con la spazzatura campana il fronte più caldo dove si prenderanno le misure al Berlusconi IV – è lì a testimoniarlo: non un progetto industriale, ma una “colletta” spacciata per cordata che, al di là della sua effettiva riuscita, non pare in grado di dare sia una risposta strategica al problema della compagnia che organica al tema del trasporto aereo e del sistema aeroportuale nazionale.

Seconda considerazione: la mancanza di un forte progetto di riqualificazione del tessuto produttivo non genera una spinta a porre come obiettivo prioritario il taglio della spesa corrente a favore degli investimenti. Così siamo alle solite: si parla di taglio delle tasse, ma senza aver preventivamente creato le condizioni di bilancio il rischio è che si facciano riduzioni marginali, cioè non tali da generare ricadute sui consumi e sugli investimenti, e nello stesso tempo costose perché i margini di manovra sono strettissimi (Bruxelles è già pronta a riaprire la procedura d’infrazione che ha appena chiuso). E’ il caso – e siamo alla terza considerazione – del giusto intervento sugli straordinari, che però avrebbe avuto ben alto respiro se fosse stato presentato in un quadro organico di interventi sul mercato del lavoro e sulla contrattazione (completamento della Biagi), che è lecito attendersi ad inizio legislatura. Ma è soprattutto il caso dell’abolizione quasi totale dell’Ici, un provvedimento inutile, perché i 3 miliardi che costa non sono volano economico (le famiglie non modificano i loro comportamenti di consumo sulla base di poche decine o anche centinaia di euro di minor esborso fiscale), e sbagliato per almeno un paio di motivi.

Primo perché finirà per essere una partita di giro, visto che i comuni dovranno o rivalersi su altri tributi locali o chiedere, più soldi a Roma. Secondo perché è profondamente erronea l’idea di una politica della casa che incentivi ancora di più l’acquisto e non l’affitto: siamo già il paese con la più alta percentuale al mondo di prime abitazioni di proprietà (85%), cosa che disincentiva la mobilità fisica e quindi quella sociale, per quale motivo che non sia una miope scelta demagogica si dovrebbe aumentare – con il taglio dell’Ici ma anche con il “piano casa” ribattezzato “piano Fanfani” (ma allora la società italiana era ben diversa) – questo tasso? Se poi, la copertura di bilancio di questi primi provvedimenti – e siamo alla quarta e ultima considerazione – deve essere trovata mettendo in campo qualche “trovata” del tipo “dagli al ricco”, più adatta alla sinistra massimalista che a forze moderate di governo, allora è legittimo cominciare a preoccuparsi. Speriamo che il buongiorno non si veda dal mattino.

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