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È in arrivo una nuova minaccia per l’Occidente

L’Europa deve far sentire la sua voce

È ora che le istituzioni europee agiscano con determinazione e tempestività

di Angelo De Mattia - 19 febbraio 2009

Occorrono nervi saldi e impegno a fronteggiare una miscela che si profila in Europa, tra titoli sospetti di tossicità e difficile situazione di diversi Paesi dell’Europa centro-orientale, a proposito dei quali il Commissario europeo Ioaquin Almunia ha espresso, sempre ieri, le sue preoccupazioni, mentre Gordon Brown ha parlato di minaccia per l’Occidente. Sul primo punto, è venuto il momento di fare completa chiarezza. Dopo il monito lanciato dal Governatore Mario Draghi – anche quale Presidente del Financial Stability Forum – in occasione del vertice romano del G7 finanziario, tutte le istituzioni competenti in materia, nei singoli Paesi e a livello europeo, sono chiamate ad agire con determinazione e tempestività. Diversamente, le notizie che provengono – integre o no – dalle varie riunioni internazionali o si ricavano dai documenti preparatori accrescono la sensazione di indeterminatezza e di disorientamento.

Lo si sta chiedendo da mesi: è impossibile tardare ancora nel disporre di un quadro completo della situazione dei titoli in questione, mentre si ricorre a sofisticate qualificazioni della tossicità, a seconda che essa sia in senso stretto o no. Anche perché il solo ritardo dà adito a dubbi sulle sue motivazioni, se non si dispiega una efficace azione di disvelamento. Del resto, è inimmaginabile che possa esservi un interesse degli Stati a non far conoscere la situazione delle rispettive aziende di credito.

Qualora, veramente, esistessero ostacoli insormontabili all’emersione di questi strumenti finanziari – ma c’è da dubitarne strenuamente – allora occorrerebbe trarne amare conclusioni sul piano dei poteri delle Autorità di vigilanza e, più in generale, delle potestà riconosciute dagli ordinamenti statuali. In ogni modo, se si continua negli indugi, ci sarebbe materia perché su questo argomento possa intervenire anche un vertice dei Capi di Stato e di Governo. Ma, poi, per i titoli in questione occorrerà definire le modalità di sistemazione. E sarebbe, questa, l’occasione per un’iniziativa a livello europeo, che indichi il modello tecnico-giuridico al quale fare ricorso.

Se l’Europa non farà sentire la sua voce – necessaria non per un raccordo meramente formale o, addirittura, per lasciare campo libero alle decisioni dei singoli Paesi – si avrà una ragione in più per affermare che l’Unione europea sta apparendo, in questa difficilissima fase, prevalentemente con il volto censorio della Commissione, relativamente ai conti pubblici o alla tutela della concorrenza o del libero mercato.

Quanto agli Stati del Centro e dell’Est dell’Europa, il principale problema che si pone ora per Paesi come l’Italia è l’impatto che le difficoltà possono avere soprattutto sui rapporti di finanziamento facenti capo a banche europee. Per quel che riguarda i principali istituti italiani operanti in quell’area, ieri si è iniziato a dare rassicurazioni e a far presente che, comunque, sono state adottate le misure preventive necessarie. E, tuttavia, una crisi di alcuni di quei Paesi si può trasmettere al resto dell’Europa non necessariamente solo attraverso le banche colà operanti o che hanno esposizioni in quell’area.

E’ un ulteriore, generale fattore di instabilità, questa crisi, che rischia di manifestarsi e che chiamerebbe in ballo, per circoscrivere il focolaio, altri Stati, il Fondo monetario, altri organismi finanziari internazionali. E’ necessario, dunque, un attento monitoraggio, nonché la tempestiva adozione di provvedimenti prima che le difficoltà si accrescano. Per di più, proprio in questi giorni, a proposito di Paesi che potrebbero sostenere oneri crescenti nel collocamento di titoli di Stato o, in ogni caso, incorrere in difficoltà nel loro assorbimento, si è cominciato a parlare dell’intervento di sostegno da parte di organismi europei.

Sia pure cripticamente, si accenna all’aspirazione a chè la Bce acquisti titoli pubblici o di debito societario. Se così dovesse accadere, si opererebbe una svolta rischiosa, essendo vietato dal Trattato CE il finanziamento monetario del Tesoro; come lo è stato, a partire dagli anni ’80, in Italia, dopo il divorzio consensuale Tesoro-Bankitalia.

Quest’evoluzione di un quadro complessivo già molto difficile fa emergere la conferma della non adeguatezza della manovra italiana anticrisi. Lo stesso ammontare (10 miliardi) che è stato previsto per i Tremonti bond –la cui regolamentazione è all’esame della Commissione europea per le modifiche che sarebbero state apportate in materia di tassi (si passerebbe all’8,50 per cento per 4 anni, superando il premio al rimborso) e di vincoli, che sarebbero ridotti, sulle remunerazioni dei manager – potrebbe dover essere rivisto.

E, comunque, se dovesse prendere corpo la miscela di cui si è detto, sarebbe veramente difficile poter restare ancorati alle grandezze della manovra anticrisi deliberata nelle scorse settimane. Ma, pur riadeguata, tale manovra di per sé sola non basterebbe. Occorrerebbe l’intervento dell’Europa, come accennato. E, forse, quest’ultimo è un caso di spes contra spem, considerata la sostanziale assenza finora dell’Unione europea. Angelo De Mattia

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