Urge una grande riforma dei cambi
L’era della terza Bretton Woods
Riscriviamo le nuove regole del gioco per superare la logica del “dollarocentrismo”di Enrico Cisnetto - 27 ottobre 2008
Avviso ai naviganti: serve una Bretton Woods III. La necessità di riscrivere “nuove regole del gioco” sugli scambi internazionali è sacrosanta per due motivi. Per ristrutturare le istituzioni che dalla conferenza del 1944 nacquero – Banca Mondiale e Fondo Monetario – ma soprattutto per superare il “dollarocentrismo” ancor oggi in vigore. Quando nacque, infatti, il “gold exchange standard” prevedeva che tutte le monete facessero riferimento alla valuta Usa (a sua volta legata all’oro), e ciò ha permesso ad Europa e Giappone una rapida ricostruzione industriale trainata dalle esportazioni, in cambio della quale si impegnavano ad utilizzare il biglietto verde come moneta di riserva e ad investire in bond. Fu un sistema che indubbiamente funzionò – anche se ha consentito agli Stati Uniti di sviluppare un massiccio deficit gemello (di bilancio e commerciale) che li ha trasformati nel più grande esportatore di inflazione – ma che oggi ha esaurito il suo compito.
No, non si tratta di un refuso: ci vuole una terza Bretton Woods, perchè la seconda esiste già – di fatto, anche se non formalmente – e si è sviluppata dall’inizio del secolo con i paesi asiatici che hanno seguito la stessa strada percorsa da Europa e Giappone nel dopoguerra. In particolare la Cina, che tiene la sua divisa volutamente sottovalutata rispetto al dollaro per lasciar correre le esportazioni, e nel frattempo si è riempita di titoli del debito americano. Ma anche questo è un sistema che non regge più: la fiducia nel biglietto verde risente, e sempre più risentirà, dell’attuale crisi finanziaria, e la Cina non potrà tenere sottovalutata all’infinito la sua divisa.
Ciò che serve, dunque, è una grande riforma dei cambi. Che non si limiti a fotografare l’esistente, ma che abbia il coraggio di uno scatto in avanti. Come? Prevedendo di affiancare al dollaro altre divise forti. E non solo l’euro, magari dopo che avrà inglobato sterlina inglese e franco svizzero (questione di poco), ma anche altre due nuove monete che sarebbe opportuno nascessero in fretta. Mi riferisco ad una valuta asiatica in cui convergano Cina, India, Corea del Sud e Giappone (in fondo yuan e yen hanno la stessa etimologia, che significa “cosa rotonda”). E una valuta del Golfo, che raduni i maggiori paesi petroliferi. Tutte armonizzate in una sorta di “serpente monetario” mondiale.
Siamo obiettivi: il mondo globale non accetta più la leadership solitaria degli Usa, e il “nuovo ordine” che bisogna disegnare non può che essere basato su un sistema monetario policentrico. D’altra parte, se guardiamo i trend di crescita attuali vediamo che nel 2007 i paesi “maturi” (Usa, Giappone, Germania, Francia, Spagna, Uk, Italia, Canada e Paesi Bassi) hanno rappresentato il 62% del pil mondiale ma hanno contribuito solo per il 38% alla crescita della ricchezza. Al contrario dei cosiddetti “Bric” (Brasile, Russia, India e Cina) – che sono solo l’11,5% del pil mondiale ma hanno un ritmo di crescita del 22% – e dei paesi della futura moneta asiatica, che contano per il 19,1% ma crescono per ben il 24,7%.
Dunque, tenuto presente che il flusso conta molto di più dello stock, è chiaro che un regime monetario solo euro-atlantico non ha ragion d’essere. Prepariamoci allora a riscrivere le regole. Magari rileggendo il Keynes visionario del 1944 che proponeva un “paniere” composto di tutte le valute del mondo.
No, non si tratta di un refuso: ci vuole una terza Bretton Woods, perchè la seconda esiste già – di fatto, anche se non formalmente – e si è sviluppata dall’inizio del secolo con i paesi asiatici che hanno seguito la stessa strada percorsa da Europa e Giappone nel dopoguerra. In particolare la Cina, che tiene la sua divisa volutamente sottovalutata rispetto al dollaro per lasciar correre le esportazioni, e nel frattempo si è riempita di titoli del debito americano. Ma anche questo è un sistema che non regge più: la fiducia nel biglietto verde risente, e sempre più risentirà, dell’attuale crisi finanziaria, e la Cina non potrà tenere sottovalutata all’infinito la sua divisa.
Ciò che serve, dunque, è una grande riforma dei cambi. Che non si limiti a fotografare l’esistente, ma che abbia il coraggio di uno scatto in avanti. Come? Prevedendo di affiancare al dollaro altre divise forti. E non solo l’euro, magari dopo che avrà inglobato sterlina inglese e franco svizzero (questione di poco), ma anche altre due nuove monete che sarebbe opportuno nascessero in fretta. Mi riferisco ad una valuta asiatica in cui convergano Cina, India, Corea del Sud e Giappone (in fondo yuan e yen hanno la stessa etimologia, che significa “cosa rotonda”). E una valuta del Golfo, che raduni i maggiori paesi petroliferi. Tutte armonizzate in una sorta di “serpente monetario” mondiale.
Siamo obiettivi: il mondo globale non accetta più la leadership solitaria degli Usa, e il “nuovo ordine” che bisogna disegnare non può che essere basato su un sistema monetario policentrico. D’altra parte, se guardiamo i trend di crescita attuali vediamo che nel 2007 i paesi “maturi” (Usa, Giappone, Germania, Francia, Spagna, Uk, Italia, Canada e Paesi Bassi) hanno rappresentato il 62% del pil mondiale ma hanno contribuito solo per il 38% alla crescita della ricchezza. Al contrario dei cosiddetti “Bric” (Brasile, Russia, India e Cina) – che sono solo l’11,5% del pil mondiale ma hanno un ritmo di crescita del 22% – e dei paesi della futura moneta asiatica, che contano per il 19,1% ma crescono per ben il 24,7%.
Dunque, tenuto presente che il flusso conta molto di più dello stock, è chiaro che un regime monetario solo euro-atlantico non ha ragion d’essere. Prepariamoci allora a riscrivere le regole. Magari rileggendo il Keynes visionario del 1944 che proponeva un “paniere” composto di tutte le valute del mondo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.