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Andremo a votare. Poi calerà il sipario

L’analfabetismo istituzionale

Mentre Il copione della crisi volge al termine, nel Paese si agita lo spauracchio del nemico

di Davide Giacalone - 31 gennaio 2008

Andremo a votare, ogni ipotesi alternativa è avventurosa. Il copione della crisi volge al termine, e le ultime scene riguardano il regolamento di conti interno alla sinistra. Poi calerà il sipario. Resta, però, un grave errore confondere la democrazia con la ginnastica elettorale e la politica con la propaganda. Ci sono segnali profondi che dicono quanto l’intero sistema sia giunto al capolinea, e già il fatto che più d’uno sragioni di “governo per fare la riforma elettorale” la dice lunga su quanto si sia diffuso l’analfabetismo istituzionale.

Per capire i sentimenti di un Paese fermo sono utili i primi sondaggi elettorali. Non mi piace il sondaggismo, e meno ancora la politica che vi si uniforma, ma qui non si tratta di cercare la previsione di chi vince e chi perde (indovinate!), bensì di cogliere i sintomi di una guerra civile fossilizzata. In pratica ciascun elettore rimane fedele allo schieramento cui sente di appartenere, con una minoranza che cambierà partito all’interno dello stesso mondo. Sono tutti contenti? Neanche per idea, solo che chi s’è rotto le scatole non vota per gli “altri”, ma si ripromette di non andare a votare. Questo comportamento rende fragilissima l’esistenza di una democrazia maggioritaria, tendenzialmente (ma non necessariamente) bipolare, e rivela che gli “altri” sono vissuti come nemici. Anche gli interessi economici, che è naturale pesino, si comportano in modo anomalo: non sponsorizzano chi propone cose che si ritengono giuste, ma avversano chi s’è messo in testa di governare.

Veltroni sembra aver capito che praticando l’antiberlusconismo si riesce solo a riempire la sinistra di reazionari e briganti. Gli riconosco il merito di avere rotto il giocattolo delle coalizioni posticce. Spetta a chi vincerà le elezioni (quindi non a lui) archiviare la seconda Repubblica ed iniziare con il passo delle riforme istituzionali ed economiche. Non si tratta di promettere, o pretendere, “grandi coalizioni”, od il solito ed insipido “dialogo”. Chi vince deve essere capace di rivolgersi a tutti gli italiani, convincendoli che si può dissentire senza odiare, si può parlare senza inciuciare, ci si può dividere senza desiderare di sopprimersi a vicenda. La sinistra s’è sfasciata perché non ha saputo e voluto farlo. Non è il caso d’imitarla.

Pubblicato su Libero di giovedì 31 gennaio

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