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Public Policy

Prima la riforma, poi i condoni

Ipocrisia non condonabile

Attenzione. Uno Stato non efficiente è il luogo ideale per cittadini moralisti e profittatori

di Davide Giacalone - 11 ottobre 2011

Scandalizzati e condonanti vanno a braccetto, quando non sono la stessa persona. Quanti s’indignano, per materie fiscali ed edilizie, si dividono fra serenamente ignoranti della realtà e pelosamente intenzionati ad approfittarne. I condoni ci vogliono, così come ci vorrebbe l’amnistia. Solo che lo scontrarsi fra pro e contro, a prescindere dal come e dal quando, è dissennato. Mero ozio politicheggiante, naturalmente convivente sia con l’evasione che con l’abuso (come con la prescrizione). Il punto è uno solo: i condoni si fanno dopo le riforme, non al loro posto.

Ricordate l’orrido mese d’agosto, con l’estivo fiorire dei contributi solidali, vale a dire l’aggravio fiscale a carico dei ricchi? Dove, però, per “ricchi” era da intendersi la minoranza di onesti che dichiara al fisco qualche cosa di simile alla realtà, mentre il resto d’Italia preferisce darsi per ridotto alla fame.

Ecco, l’idea di aggravare il prelievo nei loro confronti, che già pagano per più della metà, è assai più osceno di un condono, che si orienta a spillar quattrini a quanti li negarono.

E ricordate la rivolta sarda contro le cartelle esattoriali? L’idea di averle rese immediatamente esecutive, poi corretta nella non meno oscena idea che si possa far ricorso solo onorandole per un terzo, rappresenta, al tempo stesso, l’impotenza e l’arroganza dell’amministrazione fiscale: siccome non sono capace di combattere l’evasione, siccome non sono in grado di far funzionare in fretta la giustizia tributaria e siccome quando decide spesso dà ragione al contribuente, per dotare di sicurezza e continuità il gettito cancello la giustizia e ti metto in ceppi se non paghi. E se ritardi ti pratico tassi d’interesse che, nel mercato privato, darebbero luogo al reato d’usura (nel mentre lo stesso Stato non paga i propri fornitori).

Il risultato di quest’obbrobrio è che un pezzo (consistente) del Paese marcia con carburante totalmente nero, sconfinante nell’extraterritorialità, mentre la parte “regolare” ha un cappio alla gola, che asfissiandola la trasforma in irregolare. Per non poche aziende, oggi, la scelta è chiara: o condonano o chiudono. Farebbe bene a informarsi, chi governa Confindustria, invece di condonare e moraleggiare. Solo che se si condona a legislazione vigente si commette un’ingiustizia (il condono, come l’amnistia, è sempre un’ingiustizia, tutto sta a vedere se utile o meno) e non si risolve nulla. Quindi: prima la riforma, con adeguato premio ai contribuenti onesti, poi la sepoltura del contenzioso pregresso.

Discorso analogo per l’edilizia: nonostante le promesse la quantità di adempimenti per lavori praticamente casalinghi è da manicomio, e se c’è una cosa autenticamente disonesta è l’assimilare quel tipo d’irregolarità con gli abusi più rischiosi, e questi ultimi con l’edificazione d’interi palazzi in barba a tutte le leggi. Invece, distinguendo: gli ultimi si abbattono, anche per evitare che gli oneri d’urbanizzazione siano superiori all’incasso del condono, com’è già capitato, quelli intermedi si valutano alla luce della sicurezza e il condonabile si condona. Ma dopo avere modificato le norme, altrimenti i futuri lavori incorreranno nei medesimi problemi e prenderà corpo un illegittimo favore per chi ha abusato prima di una certa data.

Uno Stato efficiente non condona mai, perché non sbaglia nel fissare le norme ed esercita il controllo sul loro rispetto. Ma uno Stato deficiente (absit iniura verbis) è il luogo ideale per cittadini moralisti e profittatori, incapaci di conciliare il predicare con il razzolare. Provate ad ascoltare chi ha a che fare con Equitalia e paragonate quella realtà con i gridolini offesi di chi alla voce “condono” oppone il giammai degli assidui praticanti, e potrete misurare lo spazio in cui si dimena l’assenza di classe dirigente e di serietà.

Pubblicato da Libero

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