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Le mie e-mail nelle casseforti altrui

Io, spiato da Telecom

Assordante il silenzio dalla corporazione giornalistica, di solito pronta alla severità

di Davide Giacalone - 30 gennaio 2007

Si fa l’abitudine a tutto, poi la cosa è ridicola e drammatica al tempo stesso, non m’impressiona più di tanto, quindi, la riconferma dell’essere stato spiato da quelli che per questo erano più che lautamente pagati da Telecom Italia. Ma ci sono tre novità, rilevantissime e pericolose, che segnalo ai lettori ed a Telecom Italia. Già, perché fin qui c’è arrivato addosso di tutto, ma mai una risposta, mai un chiarimento, che sarebbe dovuto a noi che abbiamo pubblicato verità non smentibili, al mercato ed alle autorità di controllo. La prima “novità”, si fa per dire, è la seguente: nell’ottobre scorso il presidente di Telecom Italia, Guido Rossi, ha inviato una diffida a tutti i giornali italiani, chiedendo, in modo perentorio, che il nome della società da lui presieduta non fosse associato ad attività illecite d’intercettazione, che non ci sarebbero mai state. Avvocato Rossi, io sono stato intercettato. Con me hanno intercettato Fausto Carioti, che da giornalista seguiva alcune faccende di Telecom Italia. Risulterebbe che nella cassaforte di Andrea Pompili, coordinatore, sempre in Telecom, del Tiger Team (ma le pare normale?), si siano trovati 4 cd contenenti non solo la mia posta elettronica, ma le videate dello schermo del mio computer. Quelle sono intercettazioni, intromissioni nelle mie comunicazioni elettroniche, che viaggiano sui cavi telefonici. Avvocato, non credo lei possa far finta di niente. Non foss’altro perché ci ha diffidati dallo scrivere quel che ho appena scritto. Mi muoverò seguendo le vie legali, conto d’incontrarla nel medesimo cammino e nella stessa direzione.

La seconda “novità” è che oramai Libero è il quotidiano più spiato. E’ vero che, sempre a quanto leggo in giro, ci sono stati attacchi informatici al Corriere della Sera, ma almeno quelli non sono andati a buon (nel senso di cattivo) fine, e Massimo Mucchetti ha potuto continuare a fare il suo ottimo lavoro, cosa che contiamo continui a fare. Quella però, a ben vedere, era una specie di faida in famiglia e, sebbene il diritto neghi la possibilità d’intercettarsi anche fra coniugi gelosi e ridotti ad origliatori, se ne comprendono le dinamiche alla luce dello scontro su quale dei proprietari potesse avere maggiore influenza sul giornale. Al contrario, Libero è stato preso di mira sol perché faceva del giornalismo, senza preventiva genuflessione a chi ha la pretesa di sentirsi potente e che o direttamente possiede i giornali o su di essi esercita un’imponente influenza con i soldi della pubblicità. E’ una cosa molto grave, che riguarda direttamente i pilastri della libertà e della democrazia. Per questo mi pare assordante il silenzio della corporazione giornalistica, così pronta a mostrarsi severa quando si sente coperta dagli interessi superiori, ma così silente quando sotto attacco finiscono quelli che gli interessi superiori li sfidano. Devo essermi distratto, ma confesso che il comunicato vibrante di sdegno per il fatto che dei colleghi finiscono spiati ed intercettati a causa dei loro articoli, m’è proprio sfuggito.

La terza novità la trovo in un pezzo dell’ottimamente informato Luigi Ferrarella, sul Corriere della Sera di sabato scorso. Il giornalista riferisce le parole di Fabio Ghioni, collega di Giuliano Tavaroli e fra i creatori del … non so come definirlo, diciamo centro di ricerche Telecom, rivolte ai magistrati che indagano: “Personalmente mi sono adoperato, su richiesta di Raffaele Savarese di Telecom Italia in Brasile, perché creassi uno storage accessibile solo a determinati utenti sul quale memorizzare documenti che i componenti indipendenti del cda di Brasil Telecom mettono a disposizione di Telecom Italia”. Cosa sia uno storage non lo so di preciso, ma questa roba assomiglia ad un reato. Intanto perché non c’erano consiglieri indipendenti in quel consiglio d’amministrazione, ma rappresentanti di fondi pensione al centro di trame molto discusse, poi perché non è detto per quale ragione, e con quale rispetto della legge, dei membri del cda dovessero passare notizie, evidentemente segrete, ad uno degli azionisti. E’ leggendo quelle parole che ho capito cosa cercavano gli spioni di Telecom facendo i guardoni delle mie cose: volevano sapere se avevo elementi per rivelare una cosa simile.

Nel mio libro, che uscì nel 2004, raccontavo fatti gravissimi, montagne di quattrini che sparivano, intrecci fra Telecom Italia, Parmalat e Cirio, ed erano tutti fatti documentati, che nessuno si è permesso di smentire, ma che solo Libero ha avuto il fegato di pubblicare. In quel libro sono anche descritti i miei rapporti con ciascuno dei protagonisti, anche con Dantas e la sua Opportunity, quindi le insinuazioni sull’essere stato al servizio di questo o di quello le rimando alla fonte analfabeta. Ma Telecom Italia non ha mai risposto, non ha mai replicato, non ha mai spiegato. In campo c’erano gli spioni, interessati a sapere se avevo elementi per raccontare quel che loro stavano facendo, in Brasile ed altrove. Li avessi avuti stiano certi che li avrei pubblicati, ma ero troppo isolato e troppo debole per potere espormi al rischio di scrivere una sola parola non dimostrabile. Adesso, dunque, noi sappiamo che quel che si legge ne Il Grande Intrigo è tutto vero, è che c’è di più e di peggio.

Credo sia da escludere che tutta questa faccenda spionistica sia stata montata per servire gli interessi dei tigrotti, mentre le conseguenze saranno comunque assai rilevanti, dato che il tutto sarà utilizzato per ridisegnare la mappa del potere finanziario in Italia. E non è detto ci sia da festeggiare. Torneremo ad occuparcene, e proprio per questo voglio ringraziare Vittorio Feltri e Libero. Non fanno che il loro dovere, ma è bello trovare qualcuno che sia disposto a farlo.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero del 30 gennaio

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