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La Finanziaria 2001 di Amato era ben peggiore

Investimenti pochi, si va al risparmio

La manovra mira a limitare i danni. Ma il giudizio sulla politica economica resta pessimo

di Enrico Cisnetto - 15 dicembre 2005

La ripresa non c’è, e la Finanziaria neppure. Ieri, mentre il maxiemendamento alla manovra di bilancio predisposto dal ministro Tremonti faticava a venire definitivamente alla luce – tanto che alla fine c’è stato l’ennesimo rinvio, a oggi – come una doccia fredda sulle aspettative del governo è arrivato il dato Istat sulla produzione industriale a ottobre, che rispetto allo stesso mese del 2004 è regredita del 2,7%. Ennesima conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che le euforiche attese di una ripresa imminente non solo erano sbagliate perché sganciate da qualsiasi contesto strutturale, ma anche ingiustificate sul semplice piano congiunturale. Se a questo si aggiunge che l"Isae prevede un andamento sostanzialmente stabile (ergo stagnante) dell’attività manifatturiera nel corso dei prossimi mesi, con una lieve diminuzione in novembre (-0,1 %) e un leggero rialzo a dicembre (+ 0,1% ), la produzione industriale chiuderebbe il quarto trimestre con una flessione di circa l"1,5% rispetto ai tre mesi precedenti. Il dato continua a mostrare un’industria italiana in grave difficoltà nel tessile, dell’abbigliamento e delle calzature: settori nei quali la concorrenza cinese si è fatta sentire e gli imprenditori non sono ancora stati capaci di rispondere con un miglioramento della qualità.

Di certo un indirizzo programmatico al nostro sistema industriale – che per essere davvero tale dovrebbe indicare tempi, modi e obiettivi di una radicale trasformazione del nostro capitalismo – non è arrivato da una Finanziaria che nemmeno ieri è riuscita a superare l"ostacolo di un accordo tormentato nella maggioranza di governo, con Tremonti tirato per la giacca da Lega, An e Udc. Ma non sarebbe giusto biasimare il ministro dell’Economia: catapultato al posto di Siniscalco in piena emergenza, Tremonti ha preso tempo e a settembre ha presentato una Finanziaria di copertina, il cui contenuto avrebbe dovuto essere proprio questo maxiemendamento, mentre nel frattempo i conti delle precedenti manovre venivano adeguati alle direttive di Bruxelles. Tuttavia, non sono bastati al ministro dell’Economia 72 giorni – record storico per la discussione di un bilancio statale, come ha giustamente ricordato Savino Pezzotta – insieme a 111 pagine di documento e 596 commi in totale, per trovare un accordo. Che forse arriverà proprio oggi, o al massimo domani, anche perché alla fine si sta litigando su una torta talmente misera che è auspicabile si capisca che non ne vale la pena.

Tremonti ha parlato sempre della Finanziaria come se fosse stata non solo scritta, ma anche già approvata. E anche per questo poteva andar molto peggio. Essendo l’ultima prima delle elezioni, si potevano rischiare le solite regalie e gli assalti alla diligenza a fini elettorali, oppure l’avvelenamento dei pozzi prima dell’arrivo dell’avversario. Invece, tutto sommato, questa manovra non è da buttare: si dedica soprattutto alla riduzione del deficit, cercando di fare meno danni possibile. Certo, manca il sostegno allo sviluppo, ma già era difficile recuperare i 12 miliardi per il rientro chiesto da Bruxelles: il rischio sarebbe stato quello di spendere troppo e male.

E, francamente, non mi interessa prendere parte alla querelle sul concordato fiscale applicabile a lavoratori autonomi e medie imprese: è così importante decidere se sia da considerare o meno un condono per il sommerso? Visto che dai condoni, in trent’anni, nelle casse dello Stato sono entrati 104,5 miliardi di euro, nella situazione in cui ci troviamo non vedo tutto questo scandalo.

Dunque, bene ha fatto Tremonti a minimizzare, rendendo la Finanziaria meno “elettorale” possibile. Amato, nel 2001, fece molto di peggio. Insomma, non ci si può lamentare. Ma si tratta, in realtà, di un giudizio relativo. Nel senso che la condizione politica attuale – quella della Seconda Repubblica – non offre possibilità migliori. Ma certo, considerato il declino strutturale e la congiuntura che continua ad essere pesante, il giudizio relativo deve essere affiancato da quello assoluto. E non può che essere negativo.

Pubblicato sul Messaggero del 14 dicembre 2005

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