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Che il Cav. torni al vecchio piano

Investiamo in infrastrutture

Il trasporto delle merci per un’economia di trasformazione non è solo decisivo, è vitale

di Enrico Cisnetto - 03 luglio 2009

L’emozione per un incidente così clamoroso e drammaticamente spettacolare, e per le vittime che ha provocato, è ancora troppo forte perché l’attenzione sulla vicenda di Viareggio non sia tutta concentrata sulla dinamica e le responsabilità (sulle quali sconsiglio il solito giustizialismo, che nell’immediato usa la gogna e sul lungo periodo assicura l’impunità).

Per la verità, qualcuno ha provato ad alzare lo sguardo, e partendo dalla classifica redatta dal World Economic Forum – nella quale l’Italia è al 54° posto su 134 paesi analizzati per la quantità delle nostre infrastrutture, e addirittura al 73° per la loro qualità – ha scattato una fotografia impietosa delle opere pubbliche italiane, e in particolare del sistema ferroviario, che in termini di rete è rimasto fermo agli anni Settanta (oggi i 17 mila km di binari sono solo il 5% in più di allora, ma nel frattempo i passeggeri sono aumentati del 50%) mentre come Ferrovie Spa da dopo la conduzione di Necci dei primi anni Novanta ha smesso di fare investimenti strategici, a parte i (pochi) tratti di alta velocità fin qui realizzati.

Ma non appena le scene raccapriccianti di Viareggio avranno smesso di turbarci, sarà bene mettere a fuoco il tema “ruolo delle Ferrovie” partendo proprio dal versante del trasporto merci, sul quale spira una bruttissima aria di smobilitazione. Nei programmi del governo Berlusconi della legislatura 2001-2006 c’era una doppia scelta assolutamente condivisibile: togliere dalla strada quanto più traffico merci possibile e passarlo su rotaia; rendere alcune aree meridionali (segnatamente il porto di Gioia Tauro, la Sicilia, Taranto) una sorta di hub per le merci in arrivo e in partenza dal Mediterraneo e dall’Asia e collegarle via ferrovia, lungo l’asse adriatico, con il Nord d’Italia e d’Europa.

Peccato che entrambe siano rimaste solo delle buone intenzioni: oggi viaggia su rotaia solo il 6% delle merci, una percentuale in discesa e lontana dal già basso 14% della media europea, mentre i progetti di integrazione tra i porti del Sud e il sistema cargo delle Ferrovie è andato farsi benedire. Anzi, le stesse Fs dicono che non essendo remunerativo far camminare le merci oltre gli Appennini, e per rispettare i budget di Trenitalia Cargo che prevedono di raggiungere (finalmente) il pareggio di bilancio nel 2011, sono costrette a rimettere nelle mani dello Stato la decisione su se e in che misura il trasporto merci sia un servizio universale.

Il che significa due possibilità ugualmente inaccettabili: o rinunciare (quello che si è fatto negli ultimi anni) o pagare a piè di lista (quello che si faceva una volta). Anzi, il rischio è che si abbiano entrambe le cose contemporaneamente: le merci vanno su gomma – intasando le strade, inquinando, facendo aumentare gli incidenti, esponendo spesso il Paese ai ricatti corporativi degli autotrasportatori – il fatturato cala (in cinque anni da 1,5 a 1,1 miliardi) e le perdite continuano a correre, anche se in misura ridotta rispetto a quando erano un terzo del giro d’affari.

Certo, i vertici di Ferrovie hanno ragione a chiedere al Governo di assumersi la responsabilità di decidere il ruolo e le modalità del trasporto merci nell’ambito del nostro sistema economico, ma è pur vero che spetta anche a Moretti e ai suoi uomini disegnare un profilo strategico del servizio merci che non sia solo quello del “facciamo quello che si può”.

Anche perché, pur essendoci stata la liberalizzazione, quei 14 operatori che a detta delle Fs detengono il 30% del cosiddetto “mercato remunerativo” (quello sopra la dorsale appenninica) sono in gran parte stranieri non proprio concorrenti di Ferrovie. Dunque, il mercato è ancora in mano all’ex (?) monopolista, e poi Moretti ha dimostrato che quando vuole – leggi Frecciarossa – è capace di ottenere dei risultati e di montare campagne di attenzione mediatica.

Insomma, ci si sarebbe aspettati che fosse lo stesso Moretti – e ancora ci si attende che sia – a porre al Governo, alla politica e al Paese la domanda: l’Italia investe solo sull’asfalto (ammesso che poi lo faccia davvero), oppure vogliamo alla rotaia un ruolo centrale nel traffico delle merci, investendo quel che serve nelle relative infrastrutture?

Dire, per esempio: caro Presidente del Consiglio, ci sono molti casi – uno clamoroso è quella della nuova Fiera di Roma, che è raggiungibile solo in auto – in cui operatori pubblici e privati reclamano per merci e passeggeri nuovi collegamenti e relative infrastrutture, ma siccome io i soldi non li ho, si assuma Lei la responsabilità di rispondere a queste sollecitazioni.

Così come ci piacerebbe vedere Ferrovie impegnata a fianco della “Agenzia per la sicurezza” – anche con adeguate denunce pubbliche – nel dire chiaramente perché “il parco rotabile è vetusto” e “la gran parte delle gallerie non sono a norma” (parole del direttore di Ansf, Chiovelli). L’alta velocità è una bella cosa, e va fatta. Ma il Paese è uno ed è bene che rimanga tale. E il trasporto delle merci per un’economia di trasformazione non è solo decisivo, è vitale.

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