I costi dell’enorme bolla universitaria
Investiamo di più in studi e ricerche
Cari studenti, la difesa degli interessi dei docenti è antitetica alla vostradi Davide Giacalone - 14 novembre 2008
Negli ultimi cinque anni le materie insegnate nell’università italiana sono cresciute del 50%, se si prende a riferimento l’anno della riforma, con l’introduzione del 3+2, il 1999, la crescita è del 300%. Se la materia del creato avesse la stessa inflazione delle materie universitarie, l’universo sarebbe già scoppiato. Secondo i dati del comitato nazionale di valutazione, dunque, gli insegnamenti universitari hanno raggiunto l’impressionante cifra di 180.000. Per pagare i costi di questa enorme bolla universitaria se ne vanno praticamente tutti i quattrini investiti, non restando nulla per le cose che all’università si dovrebbero fare: studiare e ricercare.
Adesso leggete queste parole, scritte dalla professoressa Faust, rettore della statunitense Harvard, ovvero l’università più ricca, con un patrimonio di 37 miliardi di dollari: “si devono tagliare i costi e rivedere gli stipendi, che oggi ammontano a circa la metà del nostro budget”. Capito? Lì tagliano la paga dei professori, perché ammonta alla metà dei soldi che si spendono, mentre da noi, dov’è la totalità, se provi a dirlo sei un affamatore. In quella università privata pensano agli interessi degli studenti, oltre che a quelli dell’università stessa, mentre nei nostri istituti pubblici ci occupiamo solo dei dipendenti, e chi se ne frega della cultura.
E c’è di più. L’età media dei nostri professori è elevata, perché siccome sono già tanti e non si manda via nessuno, va a finire che invecchiano nell’immobilità, e spesso nella nullafacenza. Per non aumentarne il numero ed i costi si chiede il blocco dei concorsi, garantendo ai giovani bravi la certezza di rimanere fuori. Intendiamoci, non è affatto detto che con questi concorsi si selezionino i migliori e non i meglio raccomandati, ma fermandoli si certifica che chi voglia far carriera e ricerca deve andarsene via. Si dovrebbe sì bloccarli, ma solo per aprire l’università al merito e cacciarne i mummificati ed improduttivi.
Non so quanto tempo ci metteranno gli studenti per capire che la difesa degli interessi dei docenti è antitetica a quella dei loro. So che ogni giorno passato senza porre rimedio impoverisce l’Italia sotto il profilo dei soldi e della conoscenza: i primi buttati in pasto alla burocrazia cattedratica, la seconda costretta alla fuga.
Adesso leggete queste parole, scritte dalla professoressa Faust, rettore della statunitense Harvard, ovvero l’università più ricca, con un patrimonio di 37 miliardi di dollari: “si devono tagliare i costi e rivedere gli stipendi, che oggi ammontano a circa la metà del nostro budget”. Capito? Lì tagliano la paga dei professori, perché ammonta alla metà dei soldi che si spendono, mentre da noi, dov’è la totalità, se provi a dirlo sei un affamatore. In quella università privata pensano agli interessi degli studenti, oltre che a quelli dell’università stessa, mentre nei nostri istituti pubblici ci occupiamo solo dei dipendenti, e chi se ne frega della cultura.
E c’è di più. L’età media dei nostri professori è elevata, perché siccome sono già tanti e non si manda via nessuno, va a finire che invecchiano nell’immobilità, e spesso nella nullafacenza. Per non aumentarne il numero ed i costi si chiede il blocco dei concorsi, garantendo ai giovani bravi la certezza di rimanere fuori. Intendiamoci, non è affatto detto che con questi concorsi si selezionino i migliori e non i meglio raccomandati, ma fermandoli si certifica che chi voglia far carriera e ricerca deve andarsene via. Si dovrebbe sì bloccarli, ma solo per aprire l’università al merito e cacciarne i mummificati ed improduttivi.
Non so quanto tempo ci metteranno gli studenti per capire che la difesa degli interessi dei docenti è antitetica a quella dei loro. So che ogni giorno passato senza porre rimedio impoverisce l’Italia sotto il profilo dei soldi e della conoscenza: i primi buttati in pasto alla burocrazia cattedratica, la seconda costretta alla fuga.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.