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Sesta tappa del viaggio pre-elettorale

Intervista a Gian Maria Gros-Pietro

Presidente di Atlantia e di Autostrade per l’Italia

di Enrico Cisnetto - 11 marzo 2008

Nuova puntata del mio viaggio pre-elettorale tra i protagonisti dell’economia italiana. Incontro Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Atlantia e di Autostrade per l’Italia. Torinese, classe 1942, Gros-Pietro è uomo d’azienda ma anche di accademia: attualmente insegna Economia alla Luiss di Roma, dove è anche direttore del dipartimento di Scienze economiche e aziendali. Dal 1997 al 1999 ha ricoperto la carica di presidente dell’Iri ed è stato presidente dell’Eni dal novembre del 1999 al maggio 2002. Ma prima che manager, grand commis di stato e uomo di università, Gros-Pietro dice di sentirsi (con un po’ di civetteria) un semplice cittadino. Da “semplice cittadino” mi dice subito che “sente” un Paese in preda alla paura, al timore del futuro.

Un sentimento generalizzato di disagio che ci porta a cercare sicurezze, che poi, a livello di sistema paese, diventano rigidità. “L’Italia è immobile”, dice, “e in questo clima di immobilismo continuiamo a perdere posizioni nei confronti di altri partner europei”. Gli brucia il recente sorpasso della Spagna, ma anche quello più antico dell’Irlanda, dieci anni fa. Due Paesi che partivano da condizioni molto più svantaggiate della nostra, ma che hanno saputo liberarsi di lacci e lacciuoli inutili, mettendo in moto energie che pure ci sono anche da noi.

Gros-Pietro è convinto che il primo passo per rimettersi in carreggiata sia quello di ridare dignità al lavoro, alla crescita e al merito. Partendo dalla scuola e dalla università (considera la fuga di cervelli come una delle iatture più grandi, simbolo stesso del declino, anche in termini puramente economici), sottolinea che un Paese che vede insegnanti e professori sottopagati e maltrattati non può seriamente pensare di stare al passo coi tempi. Ma ridare dignità al lavoro, per questo manager di lungo corso, significa anche superare antichi steccati e contrapposizioni ideologiche. Come quella, ormai assurda, tra chi tifa per la flessibilità “senza se e senza ma” e la retorica anni Cinquanta del “posto fisso”.

Gli sembrano due categorie di pensiero sbagliate, e battute dalla storia. “E’ chiaro – mi dice – che il precariato non può essere il punto di arrivo di un sistema moderno. Un popolo di precari non è certo la base ideale di una moderna economia di mercato. Quindi è logico aspirare tutti a contratti a tempo indeterminato, ma al tempo stesso è chiaro che il posto a vita non può più essere garantito a nessuno, e non vi è dubbio che la contrattazione debba diventare più flessibile. Le imprese, cioè, vanno incoraggiate ad assumere stabilmente, ma devono anche poter essere slegate da vincoli troppo rigidi, adattando i contratti al tipo di produzione, alla scala di mercato, alla collocazione geografica sul territorio. Per invogliarle, bisogna puntare soprattutto sulla leva fiscale. E sulla parola “fisco”, questo torinese tranquillo si infervora. “La lotta all’evasione fatta dal Governo Prodi è stata sacrosanta”, mi dice.

“Ma non c’è dubbio che l’extra gettito ricavato deve rientrare nel flusso economico attraverso una diminuzione della pressione fiscale, che è allucinante”. Dunque il presunto “tesoretto” accumulato da Padoa-Schioppa in questi mesi di lotta dura senza paura all’evasione deve ritornare alle imprese, nessun dubbio in proposito. Soprattutto, nessuna redistribuzione a pioggia. Sulle prossime elezioni, Gros-Pietro è ottimista. Il fatto che vi siano due soli grandi partiti lo trova certamente positivo. Anche la presenza di soggetti non allineati come l’Udc è certamente un bene, un fattore di mediazione e di garanzia. Questa volta, ne è convinto,chi guiderà il Paese sa che non può permettersi di azzerare le cose positive iniziate dal precedente. Non ce ne sarebbe il tempo, oltre che la logica. Perché il Paese stavolta è davvero su un piano inclinato senza via d’uscita. Del declino italiano lui, da accademico, fa una ricostruzione storica. “Non è certo colpa degli ultimi governi”, mi dice. “E’ ormai una caratteristica intrinseca dello sviluppo italiano.

Da almeno vent’anni , infatti, il Paese cresce meno degli altri suoi pari europei”. Ma si può salvarlo, questo malato, oppure no? Per il professore torinese, questo piano inclinato verso il basso può e deve essere rimesso almeno in orizzontale, e, se possibile, tornare a tendere verso l’alto. Soprattutto puntando sul capitale umano. Inutile, infatti, continuare a battersi in settori a basso costo del lavoro, nei quali la sfida con l’Asia è persa in partenza. Bisogna puntare, invece, sul capitale umano: senza scordarsi che il tessuto imprenditoriale italiano ha limiti dati (una grande potenza industriale con solo però l’1% della popolazione mondiale) e deve necessariamente concentrarsi su produzioni di nicchia. Che non vuol dire “piccolo è bello”, assolutamente. Per nicchia, Gros-Pietro intende collocazioni di eccellenza anche in settori con grandi scale di mercato, e altamente strategici, come l’hi-tech, l’aerospazio, la chimica fine, la diagnostica.

“Quando pensiamo al made in Italy dobbiamo andare oltre Giorgio Armani, Barilla e Ferrari. Non ci sono solo la moda e l’alimentare”, protesta. Da bravo torinese, non manca di sottolineare la rinascita della “sua” Fiat. Già. Ferrari, Fiat: belle auto – lo provoco – ma se poi non si riesce a camminare perché l’autostrada è bloccata, il cantiere fermo, il raddoppio della bretella non ha l’autorizzazione…

Punto sul vivo, il professore si inalbera. “Da presidente di Federtrasporto, so che quello delle infrastrutture è un problema che non ha colore politico. E’ un tema fondamentale, che entrambi gli schieramenti stavolta riconoscono come priorità assoluta”. E non c’è solo la Tav: c’è la Livorno-Civitavecchia, che è l’unica autostrada non finita tra Roma e Gibilterra. E poi il nodo di Bologna, quello di Genova, la variante di valico, la terrificante Salerno-Reggio Calabria: mi sa che se si parte dalle grandi opere, la strada del prossimo Governo (di qualunque colore esso sia) parte tutta in salita.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.