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Scaglia e i rumors sui potenziali acquirenti

Incroci pericolosi: Fastweb e Deutsche

Ma c’è conflitto di interessi tra analisi finanziaria e “mandati strategici”?

di Alessandro D'Amato - 18 novembre 2005

Le voci si rincorrono. E il titolo si impenna. Fastweb ha da qualche giorno “dato mandato a Deutsche Bank di esplorare alternative strategiche che possano costituire valide opportunità di ulteriore crescita”, come recita il comunicato ufficiale della società. A chi?

Secondo qualcuno nientemeno che Deutsche Telekom e British Telecom sarebbero interessate all’azienda di Scaglia e della famiglia Micheli. Tra gli altri potenziali acquirenti, secondo i rumors del mercato, ci sarebbero anche Telecom (principale concorrente, e impegnato in una serie di operazioni di governance che non le permetterebbero un acquisto del genere: chi ci crede?), oppure Tiscali (indebitata anche lei e con bilanci in perenne rosso), oppure ancora (e addirittura, vien da dire) Mediaset.

Alla Borsa di ieri il titolo quotava 41,65 euro, e nell’ultima settimana ha ballato parecchio. Il giorno chiave per gli scambi è stato il 14 novembre, quando una serie di notizie sono state comunicate al mercato. Ma come vanno le cose dal punto di vista industriale e finanziario? Fastweb si occupa di telefonia fissa, connessioni internet su fibra ottica e ADSL, TV on-demand e videocomunicazione, ed è una vera public company: l"azionista di riferimento è Silvio Scaglia, con il 25%, al quale si affianca Carlo Micheli, figlio di Francesco (ex amministratore delegato), con il 10%. Il resto è ufficialmente sul mercato. Quindi siamo in presenza di una di quelle società totalmente scalabili, sulle quali un azionista forte potrebbe mettere le mani con (relativamente) poco sforzo. I primi nove mesi dell’anno si sono chiusi con un totale ricavi di 680,3 milioni di euro, con una crescita del 30% rispetto allo stesso periodo del 2004. L’ebitda (i ricavi prima di tasse, ammortamenti e debiti) dei primi nove mesi è arrivato a 208,1 milioni di euro, in crescita del 37% rispetto ai 151,6 milioni di 12 mesi prima. Il tasso di crescita registrato nel solo terzo trimestre è stato del 44%. La posta dell’ultimo bilancio ha registrato nel trimestre un miglioramento, riducendo il rosso da 29,8 a 21,1 milioni di euro. Sul fronte patrimoniale la società ha dichiarato che l’indebitamento finanziario alla fine di settembre era pari a 305,9 milioni di euro, in crescita dei 218,3 milioni della fine del primo semestre dell’anno.

Ah, bei tempi andati quelli del suo debutto in Borsa. Infatti nel momento della sua quotazione, (clicca qui per aprire il grafico relativo) nel gennaio del 2000, le azioni sono state vendute a circa 235 euro. Oggi quota 41,65, per la gioia di coloro che hanno comprato al momento della collocazione. Di recente (novembre 2004) Aem, l’azienda elettrica del comune di Milano, quindi a capitale pubblico, ha venduto la sua quota 8%, uscendo definitivamente dal capitale della società che aveva contribuito a fondare. E ha ceduto a 43 euro: un bel guadagno se si pensa a quanto quota oggi, una secca perdita se si fa il conto su quanto avevano investito nel tempo i milanesi. A chi ha venduto Aem? Di sicuro ai piccoli risparmiatori, visto che il 6 luglio, data in cui dovevano essere comunicate alla Consob le partecipazioni al di sopra del 2%, nessuno si è presentato.
Intanto, però, la società di Scaglia continua ad avere un estimatore davvero convinto. Che si chiama Deutsche Bank. I suoi analisti continuano a consigliare di comprare titoli Fastweb, e qualche tempo fa avevano dato un target price di 62 euro. A proposito: indovinate un po’ a chi aveva dato mandato Aem di vendere la sua quota? Sì, esatto: proprio Deutsche Bank. E oggi, in un turbinio di rumors su Fastweb corteggiata da Telecom, Tiscali, Deutsche e British Telecom, Mediaset, chi è che ha il mandato per studiare strategie idonee per far crescere la società? Ancora indovinato: Deutsche Bank! Sicuramente in una situazione di potenziale conflitto di interesse, visto che continua a mandare ai suoi clienti report che parlano della società. Ovviamente, la serietà della banca tedesca e dei suoi analisti non è in discussione: sicuramente l’attendibilità dei report non viene inficiata dal mandato “esplorativo” conferito da Scaglia. Però negli Stati Uniti c’è una legge che impone a banche e Sim che fanno attività mobiliare per conto terzi e forniscono analisi finanziarie la divisione tra le due attività, affinché l’una non influisca in alcun modo nell’altra. E, nonostante questo, molto spesso oltreoceano si sono trovati in situazioni imbarazzanti. In Italia, in una situazione del genere, chi tutela i risparmiatori da questo tipo di conflitti di interesse? E soprattutto: come?

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