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Tutto il mondo è paese?

In taxi da Roma a Parigi

la prudenza, o peggio, la rinuncia, è l’esatto opposto del sarkozismo

di Davide Giacalone - 07 febbraio 2008

Anche Parigi, come Roma ed altre città italiane, è stata bloccata da uno sciopero dei tassisti, e anche in Francia, come prima in Italia, non si sono limitati ad incrociare le braccia, ma hanno paralizzato il traffico. Anche in Francia la questione è quella delle licenze: la commissione Attali, avendo in mente gli interessi dei cittadini, ne aveva proposto il rilascio di nuove, in modo da aumentare l’offerta e la concorrenza, trovando subito il consenso dell’Eliseo. Ma lo stesso Sarkozy ha dovuto fare marcia indietro, perché i tassisti si sono dimostrati molto “convincenti” nel difendere il valore delle loro licenze, quindi l’interesse a meno offerta e meno concorrenza. Sarkozy, in passato, si è dimostrato un ministro assai capace, e l’impostazione teorica della sua presidenza, così come le prime scelte fatte, hanno confermato la stoffa del leader in grado di rompere con i vincoli del passato. Ma, di sicuro, le sue patinate avventure sentimentali non gli hanno portato popolarità (e perché avrebbero dovuto? in fondo sono affari suoi) e la prossima scadenza elettorale (a marzo si vota per le amministrative) gli hanno suggerito prudenza. Solo che, appunto, la prudenza, o, meglio, la rinuncia al programma annunciato, è l’esatto opposto del sarkozismo.

Ai tassisti si sono aggiunti problemi industriali considerevoli. L’acciaieria Arcelor Mittal è in crisi, ma il presidente non accetta l’idea che la Francia s’indebolisca in questo settore strategico, non intende cedere spazio ai giganti dell’est, così parla esplicitamente di un intervento pubblico. E lo fa, certo non a caso, parlando agli operai della Alstom, che in passato aveva già salvato investendo soldi dello Stato. E neanche accetta che gruppi finanziari stranieri entrino nel cuore del settore bancario e nel capitale della Société Générale, anche qui immaginando una difesa pubblica. Sarkozy non smentisce il suo stile e parla in modo diretto: essere liberisti non significa escludere una politica industriale pubblica. Il che è teoricamente vero, ma è anche sicuro che quegli interventi contrastano con il quadro normativo dell’Unione Europea.

Tutto questo serve a dire che in una democrazia, anche forte come quella francese, non è facile intaccare le rendite di posizione, specie quando si riferiscono a soggetti, come i tassisti, che certo non sono assimilabili a ricchi e nullafacenti redditieri. E serve ad avvertire che ben difficilmente si potrà non tenere conto degli egoismi nazionali, del bisogno di difendere la bandiera nel campo della politica industriale e finanziaria, se non spingendo in avanti il processo europeo d’integrazione politica.

A questo punto ci si potrebbe consolare: tutto il mondo è paese. Ma sarebbe sbagliato, perché non si può mettere sullo stesso piano il cedimento per inconsistenza politica di una classe dirigente ed il barcamenarsi di una politica forte fra interessi contrapposti. Nell’immediato alcuni risultati possono sembrare simili, ma mentre nel primo caso non si vede via d’uscita alla stagnazione, nel secondo si tratterà di attendere l’occasione ed il tempo utili per una nuova e positiva “rottura”.

www.davidegiacalone.it

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