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Public Policy

Il vicolo cieco della transizione infinita

In attesa del colpo di grazia

Nemmeno il gossip ci salverà dal cortocircuito del berlusconismo

di Elio Di Caprio - 22 giugno 2009

Qualcosa è cambiato in Italia, ancor prima che si sappia l’ultimo risultato elettorale ed il destino del referendum. Se il nostro Berlusconi non è Clinton e l’Italia non è l’America questo non vuol dire che da noi l’opinione pubblica non sia turbata e disorientata dal fuoco di fila delle tante rivelazioni sulla vita privata del Premier.

La talpa del pettegolezzo continua inesorabilmente a scavare al di là delle rivelazioni giornalistiche più o meno pilotate e paghiamo come italiani tutti il prezzo di un’immagine deteriorata del leader che simboleggia l’Italia di questo inizio secolo. L’alta politica o la bassa cucina della politica ci riserveranno altre sorprese nei prossimi mesi, ma è indubbio che si è messo in moto un pericoloso meccanismo di delegittimazione che può andare ben oltre la singola figura del Cavaliere di cui la sinistra, ma non tutta, chiede le dimissioni per indegnità morale.

Apprendiamo dall’informatissimo finanziere tunisino Tark Ben Ammar, da anni al centro del risiko finanziario e industriale italiano, che l’Italia può tornare in Libia, questa volta grazie all’amico Silvio Berlusconi a cui il colonnello Gheddafi è pronto ad offrire la sua successione.

Altro che esilio di Craxi ad Hammamet se le cose dovessero andare male per il premier! Ma siamo veramente di fronte a un nuovo melodramma all’italiana, tra incertezze, spinte, vuoti, corsa a riposizionarsi in vista di novità che nessuno conosce? Una cosa è comunque certa ed è già qualcosa. Nessuno da ora in poi avrà l’ardire di proporre Silvio Berlusconi come successore predestinato di Giorgio Napoletano nella carica di Capo dello Stato. Di picconate si può morire, ma nessuno poteva immaginare che la prima picconata al berlusconismo potesse arrivare da una scossa privata e familiare, quella della consorte del Presidente del Consiglio, che ha dato la stura a tutte le altre picconate successive.

Aveva cominciato negli anni ’90 il capo dello Stato di allora, Francesco Cossiga, a picconare l’intero sistema politico e il suo stesso partito di provenienza, la Democrazi Cristiana. Poi arrivò la falsa rivoluzione di Tangentopoli e il progressivo smantellamento della nostra industria di Stato.

Anche allora complotti e intervento di poteri esterni (chi non ricorda il panfilo Britannia al largo delle coste italiane dove gli esponenti del capitalismo anglo-sassone si preparavano alla stagione delle privatizzazioni?) per dare una spiegazione dietrologica a quanto succedeva sotto gli occhi di tutti con un golpe silenzioso che faceva fuori quasi tutta la classe di governo di quei tempi. Possibile che l’opinione pubblica si svegliasse all’improvviso per ritenere intollerabile ciò che aveva se non accettato, almeno non rifiutato per tanto tempo, dai condizionamenti dei poteri esterni all’abitudine di convivere con un sistema corrotto che doveva persino fare i conti con il crimine organizzato che arrivava ad utilizzare le casse del Vaticano per riciclare il denaro sporco ( vedi il best seller “Vaticano spa “ ora in libreria)?

Si leggeva dai titoloni dei maggiori quotidiani dell’epoca – sono gli stessi giornali di ora- che la DC era collusa con la mafia e non solo in Sicilia, si parlava dell’ Andreotti- Belzebù, capo di una cosca mafiosa nascosta e tutto sembrava normale. Ci si divertiva ad ascoltare al cabaret del Bagaglino che i “socialisti rubavano” e la reazione era un sorriso divertito all’ennesima satira contro i potenti di turno.

Ma la “scossa” la dettero i magistrati. Anche loro eterodiretti da poteri nascosti che facevano il loro gioco? Era quella una scossa che, nell’intenzione dei promotori doveva portare finalmente al potere la sinistra (ex) comunista che aveva fatto una lotta ventennale al socialista Bettino Craxi in nome della questione morale. Si crearono invece le condizioni perché al potere andasse proprio il più sodale amico di Bettino, Silvio Berlusconi, aiutato dai leghisti e dai missini che da anni invocavano una svolta nel “regime” partitocratico.

Date queste stimmate di nascita del berlusconismo cosa ci si poteva aspettare? Non certo che si trasformasse, se non in un regime, in una stagione di definitiva restaurazione ad opera di un potere monocratico. Ma poi le prime picconate di Veronica Lario, consorte del presidente del Consiglio, hanno costretto gli italiani a soffermarsi sull’immagine e sulla credibilità pubblica del premier. Anche Veronica Lario eterodiretta da poteri occulti? L’occasione era troppo ghiotta perché non arrivassero puntualmente altre scosse mediatiche e giudiziarie a minare ancor più l’immagine di Silvio Berlusconi.

Di nuovo punto e a capo e per dove? Si possono paragonare i 45 anni della prima Repubblica al quindicennio piu o meno berlusconiano di cui è auspicabile liberarsi al più presto facendo leva sull’impresentabilità nazionale e internazionale del Cavaliere? Sarebbe una farsa più che una commedia, considerando che nell’arco degli ultimi anni non solo non è stato risolto l’eterno problema del conflitto di interessi, ma si è consentita di fatto l’elezione popolare e nominativa del capo del Governo, come se fossimo in una sorta di repubblica presidenziale senza dichiararlo.

In tal modo l’eletto , chiunque esso sia, può ritenere inattaccabile il suo potere perché suffragato ampiamente dal consenso elettorale. Non c’è chi non veda come apice delle contraddizioni lo stesso timore dell’opposizione, dopo aver fatto di tutto per scalzare dal potere il Cavaliere, di doversi di nuovo confrontare a breve termine in un altro turno elettorale con le batterie ancora scariche e senza un capo di prestigio a cui affidare le proprie sorti. E perché non dovrebbe essere consentito a questo punto al Premier di accelerare i tempi e richiedere, lui per primo, un nuovo responso elettorale per verificare gli umori dell’opinione pubblica? Nuove elezioni non sono alle porte e la decisione compete comunque al Presidente della Repubblica.

Ma ci siamo infilati ugualmente in un vicolo cieco di cui è responsabile l’intera classe politica. Nessuno si salva, da Walter Veltroni che si è dovuto dimettere dopo aver creato con il Partito Democratico quello che doveva essere uno dei due pilastri fondamentali del bipartitismo all’italiana, allo stesso Gianfranco Fini che ha accettato di confluire nel partito del predellino ben sapendo i rischi futuri di un partito troppo centrato e dipendente dagli umori e dalle sorti del suo Presidente.

Se la destra avesse fatto la destra, se la sinistra avesse fatto la sinistra… Nulla di tutto questo è successo nella stagione incerta degli ultimi 15 anni e l’illusione ottica di una maggiore stabilità derivante dalla competizione tra due partiti maggiori sta rapidamente svanendo. Ma mai pensavamo di doverci trovare così presto di fronte ad un’altra tappa della transizione infinita di un sistema che non ha avuto mai il coraggio di riformarsi seriamente ed ora mostra tutta la sua gracilità di fronte alle picconate da gossip.

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