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La disfida Bersani-Renzi tra le macerie della II Repubblica

Il vuoto da colmare

L'inamovibilità di Monti sarebbe la negazione della democrazia. E in questa decadenza della politica, l'unica positiva novità certa, è quella rappresentata dalle primarie del Pd e dalla sfida lanciata da Renzi.

di Fabio Fabbri - 09 ottobre 2012

Gli scandali repellenti delle ultime settimane comprovano che la disintegrazione del sistema politico italiano è ormai in fase terminale. Dopo le malversazioni alla vaccinara della Regione Lazio, altre Regioni sono sotto inchiesta: non solo la Sicilia, ma anche la Lombardia, il Piemonte e la nostra Emilia, un tempo decantata come terra del buongoverno. Le elezioni sono ormai dietro l’angolo, ma le formazioni politiche che dovrebbero edificare la Terza Repubblica sono investite da processi di frammentazione, di aspra conflittualità e perfino di necrosi. Insensibile ai colpi di frusta del Presidente della Repubblica, il Parlamento dei “nominati” non riesce a partorire una decente legge elettorale.

Sul fianco destro, Berlusconi finge di non vedere che il suo tempo è finito: querela Fini che gli dà del corruttore. Ma anche il dirimpettaio del PDL, l’amalgama non riuscito di postcomunisti e democristiani di sinistra, vive giorni convulsi, per non dire drammatici. Il gruppo dirigente del Partito Democratico, che fa capo a Bersani, ha tentato di accreditarsi come l’architrave della futura coalizione di governo di centro-sinistra imperniata sull’alleanza fra la sinistra di Bersani e Vendola, e l’UDC centrista di Casini. Era, questa, la costruzione suggerita dallo stratega Massimo D’Alema per veicolare Bersani a Palazzo Chigi. Ma l’impalcatura sembra crollata in questi giorni. Prima Casini ha proclamato che, dopo le elezioni di primavera, a Monti deve succedere Monti: quest’ultimo da New York ha manifestato disponibilità ad essere l’erede di se stesso. Poi, infastidito dal coro dei suoi plauditori interessati, si è solo parzialmente corretto. E tuttavia una cospicua parte della nomenclatura del PD, guidata da Veltroni, reclama la continuità della “Agenda Monti”, E Casini si dichiara comunque inorridito dal pericolo che Bersani e Vendola vadano a rappresentare l’Italia all"estero.

In questo scenario che evoca la maionese impazzita, si innesta la questione delle “primarie” del PD, dominata dalla irruzione in campo, “a gamba tesa”, del rottamatore Matteo Renzi, ormai incubo crescente non solo per il suo rivale Bersani, ma per tutta l’oligarchia stagionata del ex PCI. Parma, Milano e Genova ammoniscono.

Personalmente ho considerazione e rispetto per l’esperienza politica di Pieruligi Bersani, anche perché mi accomunano a lui solide radici appenniniche. E’ cordiale e schietto. Quando si presentò come candidato nel collegio di Fidenza invitai i socialisti del posto a votarlo. Mi ringraziò cortesemente. E’ stato un buon presidente di Regione e un Ministro innovatore. Ma questo retroterra non basta per innervare una leadership. La sua comunicazione rivela la carenza di quello che per primo Max Weber chiamò il carisma: un insieme di doti eccezionali capaci di annunziare una straordinaria missione politica di chi si candida a guidarla. Gli nuoce in particolare il suo eloquio un po’ “al grezzo”, infarcita di aforismi arabeschi, che il comico Maurizio Crozza ha mimato fino alla soglia dell’irrisione.

Interloquisce flebilmente sui grandi problemi della politica estera. Chiudendo la festa dell’Unità a Reggio Emilia ha solennemente evocato i numi tutelari del posto: papà Cervi, l’eroe della Resistenza, Nilde Iotti, la compagna di Togliatti, e Giuseppe Dossetti, il vate della sintesi cattolico-comunista. Ha dimenticato Camillo Prampolini, l’apostolo del riformismo padano: evidentemente immeritevole di far parte del suo album di famiglia.

E che dire del fiorentino tosto Matteo Renzi? Mi ha fatto riflettere il ritratto che di lui ha disegnato Luca Ricolfi: vuole spostare il PD su posizioni di sinistra liberale, che attingono alla ideologia e alla esperienza di Tony Blair. Lo ha confermato lui stesso nel salotto di Lilli Gruber. “Questa è musica per le mie orecchie”, mi sono detto. Attento, mi ammonisce un amico, piddino ortodosso: “Viene da Comunione e Liberazione”; quasi fosse un marchio di infamia!

Ma Ricolfi ed anche Giuliano Ferrara incalzano sul punto: Renzi archivia il settarismo della cultura dei sessantottini. Per lui chi ha votato a destra ed è deluso non è la parte peggiore del Paese, il nemico da richiudere nel gulag, in applicazione del bipolarismo da guerra. Non si vergogna di conquistare voti finora dislocati sull’altro versante; proprio come fece Blair, che così vinse le elezioni e si insediò al n. 10 di Downing Street. Di sicuro non gli mancano il coraggio e l’oratoria. Ma soprattutto ha nelle ali il vento impetuoso del rinnovamento :”Chi ci ha portato nel tunnel, non sarà mai capace di portarci fuori”; e così falcia l’erba anche sotto i piedi di Beppe Grillo. Sento affacciare l’ipotesi di un gioco delle parti fra lui e Bersani. Mi par difficile mettere le braghe alla lotta politica. Ho solo una certezza. Proprio perché miete consensi crescenti, la vecchia guardia del suo partito farà di tutto per liquidarlo ora e subito: con le pastoie delle nuove “regole”, con il doppio turno, facendo votare sedicenni ed immigrati, istituendo il registro dei votanti e la loro schedatura in rete. Per cominciare hanno boicottato il suo incontro con Bill Clinton. Dalle colonne di Repubblica Eugenio Scalfari riesuma l’arma delegittimante della “mutazione antropologica” che a suo tempo fu brandita contro Craxi.

Sono curioso di vedere come andrà a finire. Quanti voti avrà la lista degli apologeti interessati di Monti, benedetta dai vescovi, da Marchionne e dallo screditato Gianfranco Fini? A me pare che l’inamovibilità di Monti anche dopo il lavacro elettorale sarebbe la negazione della democrazia. In ogni caso, Si facciano o non si facciano le primarie, il Sindaco di Firenze concorrerà di sicuro a colmare come nuovo protagonista l’enorme vuoto creato dal default della seconda Repubblica.

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