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Public Policy

Quando è il mercato a dettare le condizioni ad uno Stato che non c’è

Il trilemma della Repubblica

Ma siamo veramente pronti ad una “globalizzazione intelligente”?

di Elio Di Caprio - 12 settembre 2011

Lo “spread” ci ha risvegliato in ritardo e sta diventando più importante (finalmente) del “bunga bunga” o di “Ruby rubacuori”, è un soprassalto “improvviso” dopo tante misure improvvisate di contenimento della crisi economica, giunge dopo mesi ed anni di torpore mediatico che ha allontanato gli italiani da ogni riflessione o presa di coscienza sui veri problemi che attanagliano il nostro Paese al di là delle altalene propagandistiche che hanno cercato invano negli ultimi tempi di nascondere la realtà. Siamo ridiventati “globali” non per virtù propria e per aver capito in tempo i dilemmi che la globalizzazione comporta ma perché illusi di schivarne i costi, prima abbozzando poco convinte misure autarchiche di modifica dei nostri conti e poi arrendendoci e facendoci dettare dai mercati l’agenda dei provvedimenti da adottare per non fallire.

E’ un’umiliazione per l’Italia, ma ancor più per lo stesso Ministro dell’Economia Giulio Tremonti che non può neppure più permettersi il vecchio gioco delle parti che lo ha visto in apparente contrasto con Berlusconi come presunto salvatore della tenuta dei nostri conti a fronte degli assalti famelici di partiti, sindacati, consorterie varie e clan di potere. Il mercato con la M maiuscola ha imposto le sue condizioni più che a uno Stato evanescente neppure in grado di stabilire una rotta credibile in frangenti drammatici, ai partiti e agli stessi sindacati abituati da decenni a infilarsi nelle pieghe del bilancio statale per salvaguardare le loro rendite di posizione e aumentare la spesa pubblica senza controlli, tra i primi a profittare dell’ illusionismo “globale” secondo il quale la resa dei conti non ci sarebbe mai stata e comunque avrebbe riguardato sempre le altre categorie, magari i soliti evasori fiscali, mai le proprie di appartenenza.

Il gioco è andato avanti per anni assumendo via via aspetti sempre più paradossali per finire con le ultime misure governative abborracciate, smentite e riviste a più riprese e neppure sufficienti ad invertire la rotta del declino. Le contraddizioni e le magre figure all’interno e rispetto ai nostri partners internazionali non si contano ormai più. La galera per gli evasori su delazione dei cittadini come succedeva in tanti Paesi del socialismo reale è stata l’ultima trovata di una destra allo sbando, è da destra che si vogliono improvvisamente abolire le province, almeno a futura memoria tanto per dare un segnale strumentale di riduzione dei costi della politica e l’opposizione di sinistra dal canto suo non è in grado neppure di anticipare o condividere un simile provvedimento che pure campeggiava nel suo programma elettorale.

Si imbastisce poi un’inutile polemica sull’insufficienza dei tagli alle spese o sulle tasse eccessive come se fosse la prima volta che vengono messe le mani nelle tasche degli italiani per poi scoprire che dopo due decenni la “Seconda Repubblica”, con o senza Berlusconi, ci ha già presentato il conto finale di un carico fiscale aumentato assieme alla spesa pubblica. A debito pubblico invariato o addirittura aumentato.

Il mercato ha fatto piazza pulita di tutte le incongruenze e i passi falsi passati, dalla Lega dei Ministeri a Monza che a Pontida voleva dettare le sue condizioni ( compreso il rimborso delle “quote latte”) al proprio governo con un appunto scritto per vedersi immediatamente sopravanzare dal diktat ufficiale diretto non alla Padania ma all’Italia intera su iniziativa della BCE, al partito democratico di Bersani che pur di dire qualcosa di nuovo premeva per un innalzamento del deficit di un punto del PIL per promuovere lo sviluppo e nel contempo pensava di raccogliere nei gazebo un milione di firme ( chi le ha viste?) per mandare a casa Silvio Berlusconi.

Sono questi i grotteschi minuetti che hanno preceduto ed accompagnato l’esplodere dell’ultima crisi. Ma se mai andrà a casa Berlusconi, non sarà né per Ruby, né per il bunga bunga e neppure per gli scandali che non finiscono mai – troverà sempre un parlamento pronto a giurare sulla prossima “nipote di Mubarak”- ci andrà per l’inadeguatezza sua e della sua compagine di governo ad affrontare in maniera seria una situazione economica che è sfuggita di mano a lui e al Ministro Tremonti. Certo non siamo solo noi italiani a dibatterci in una crisi finanziaria ed economica ( mal comune, mezzo gaudio?) che è mondiale. Ce lo ha ricordato uno dei principali economisti di Harvard, Dani Rodrik, in un recente saggio sulla “globalizzazione intelligente” anticipato da “La Repubblica” dove ha parlato non di un dilemma, ma di un trilemma pressocchè irrisolvibile che tutti i Paesi occidentali si troveranno prima o poi a fronteggiare, di un problema a tre corni fatto di una scelta impossibile tra globalizzazione, autonomia degli Stati e democrazia.

Visto che dalla globalizzazione economica difficilmente si passerà a quella politica ad ogni singolo Paese tocca, anche all’Italia, il compito-missione di adattarsi a modo suo alle sfide dell’epoca per non soccombere. Ma fa specie che il rimedio suggerito dallo studioso di Harvard per salvare insieme la democrazia e l’autonomia nazionale poste a rischio dalla globalizzazione venga pur sempre riposto nella capacità e nelle funzioni dello Stato perchè “mercati e governi sono complementari e non alternativi e il mercato funziona meglio non quando lo Stato è più debole, ma quando lo Stato è più forte”.

Si può dire che il “trilemma” italiano è ancora più problematico e i pericoli sono maggiori proprio perché manca la forza dello Stato come dimostrato dalle vicende in corso e dalle continue incertezze su come fronteggiare la crisi che hanno fatto apparire la trattativa con i poteri economici europei piu’ una contesa interna del governo con i sindacati ed i partiti italiani pronti ad ogni veto e condizionamento che non un’obbligata presa di coscienza nazionale dell’insostenibile peso del debito pubblico. Il risultato è stato la completa mancanza di una condotta coerente e credibile del governo italiano costretto all’umiliazione di sacrifici accettati solo sulla base di un’imposizione esterna.

Può sempre far comodo che le castagne dal fuoco vengano tolte da fuori e da altri – lo ha riconosciuto recentemente lo stesso Presidente del Consiglio- nell’Italia che ha inventato la figura del podestà, ma fino a quando può durare?

Forse ci stiamo finalmente rendendo conto ( in ritardo) che non è con questo Stato, per come è rappresentato e come è organizzato, che si possa reggere alla lunga alla sfida di un declino incombente o avere gli strumenti per una “globalizzazione intelligente”che salvi autonomia e democrazia insieme. Non ci siamo preparati né al prima e né al dopo – dopo l’accoppiata Berlusconi-Tremonti non c’è il diluvio, ma neppure un’alternativa chiara e responsabile da parte delle opposizioni – e assistiamo sostanzialmente inermi all’ultima fase di uno scollamento di lunga data che ancora impedisce ai mercati di considerare l’Italia un Paese affidabile. Ma quale mai globalizzazione intelligente potremo mai mettere in piedi con questo bipolarismo neppure capace di darci un’immediata carta di ricambio in tempo di crisi e con uno Stato che continua a perdere forza e credibilità? Certo c’è sempre la carta degli Stati uniti d’ Europa da giocare ( ammesso che siamo ancora in tempo), il rifugio in un’area più vasta che da sola riesca a garantire la tenuta complessiva dei singoli Stati e dell’Europa.

Ma nessuno può scommettere su un tranquillo approdo ad una costruzione già in bilico proprio quando la stabilità della moneta comune è messa in causa da Paesi piccoli come la Grecia o grandi come l’Italia incapaci di mettere ordine autonomamente a casa propria senza farsi ricattare o condizionare dai mercati di mezzo mondo.

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