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Il “caso Irap” e le contraddizioni del centro-destra

Il territorio non può sostituirsi al sistema-paese

Così Guzzetti offre un assit niente male per le riforme del Cav.

di Enrico Cisnetto - 30 ottobre 2009

Finalmente siamo arrivati al nocciolo della questione: la spesa pubblica. O, per dirla meglio, il nesso tra spesa corrente e improduttiva, assetti dello Stato e fisco. Cioè, l’essenza stessa del nostro sistema economico e di quello istituzionale, e la relazione tra essi. Per questo il “caso Irap” – al di là delle questioni personali (il rapporto tra Berlusconi e Tremonti) e delle contingenze politiche (le candidature per le regionali che Pdl e Lega si giocano), che pure esistono e pesano – ha generato fibrillazioni così forti da far rischiare l’infarto a governo e maggioranza. Perché ha fatto emergere la più importante delle contraddizioni che il centro-destra si porta dietro fin dalla sua nascita: l’idea che si potesse realizzare la “rivoluzione fiscale”, cioè quella significativa riduzione delle tasse che Berlusconi ha promesso e ripromesso, senza mettere in discussione il livello e la qualità della spesa pubblica, centrale e decentrata. Con il risultato che il carico fiscale è rimasto inalterato e la spesa è aumentata senza peraltro portare benefici alla crescita economica.

Si badi, io non appartengo alla scuola di chi crede che abbassare le tasse significhi automaticamente generare sviluppo, né a quella, cugina della prima, che teorizza lo “stato minimo” e dunque la drastica riduzione della spesa rispetto al pil. Ma nel primo caso non c’è bisogno di essere ultra-liberisti per vedere che quello italiano è un sistema fiscale che taglieggia gli onesti e avvantaggia i disonesti, e che come tale va profondamente modificato. Inoltre non c’è bisogno di essere economisti e sociologi – mestieri che tra l’altro non vanno di moda – per sapere che la ricchezza degli italiani sta tutta nel patrimonio e non nel reddito, e che dunque nel ripensare il nostro sistema tributario occorre tenerne decisamente conto. Così, per quanto riguarda il volume della spesa, non c’è bisogno di essere incalliti statalisti per vedere come la crisi si sia incaricata di rilanciare in tutto il mondo l’intervento pubblico in economia, gonfiando così deficit e debiti degli Stati.

Noi, in sostanza, avremmo avuto bisogno, prima o almeno durante la grande crisi, di abbassare la pressione fiscale e di ridurre ma soprattutto di riqualificare la spesa corrente, passandone quote importanti a spesa per investimenti, attraverso le riforme strutturali. Invece, non solo non lo abbiamo fatto, ma quei pochi interventi realizzati o ipotizzati sono entrati in rotta di collisione con il presupposto federalista del governo. Prima la cancellazione dell’Ici sulle prime case, ora il primo timido intervento sull’Irap – è di ieri l’emendamento alla Finanziaria firmato da dieci senatori di Pdl e Lega che prevede un taglio fino a 4 miliardi – riguardano infatti due imposte il cui gettito è destinato agli enti locali.

Nel primo caso si sono ridotti molti Comuni alla canna del gas dopo aver dato loro grandi responsabilità nella gestione dei servizi, nel secondo si rischia di aggravare la già esplosiva crisi della sanità, visto che i 40 miliardi dell’Irap servono alle Regioni per fronteggiare quella spesa. Altro che federalismo fiscale. Naturalmente nell’un caso la privatizzazione e liberalizzazione di molti servizi ai cittadini, e nell’altro la presa d’atto che 6 Regioni su 20 in default sanitario testimoniano il fallimento della regionalizzazione della sanità e presuppongono di conseguenza un suo riaccentramento, significherebbero un approccio riformista serio. Ma proprio per questo nessuno – neppure a sinistra – ne parla.

D’altra parte, che c’è da aspettarsi di buono da chi è riuscito a legiferare (disegno di legge 1117 “delega al Governo in materia di federalismo fiscale”) usando la seguente formula giuridica: “l’attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari europei”. Ma cosa significa? O lo è o non lo è.

Non si può scrivere una norma asserendo che essa sarà realizzata nella misura del possibile. Non a caso un uomo avveduto come Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri (fondazioni bancarie) ma per anni politico doc, ha sentito il bisogno di chiarire – ieri alla Giornata del risparmio – che è decisamente sbagliata l’equazione “territorio = sede di decisione alternativa al centro”. Così come si commette un errore a non considerare che i territori sono tanti, diversi tra loro, per definizione egoisti e che dunque è indispensabile, e niente affatto arcaico pretenderla, una “sintesi formulata dagli organismi istituzionali centrali”. Insomma, sempre per dirla con Guzzetti, il “territorio non può sostituirsi al sistema-paese”. Sarà il caso di pensarci, invece di blaterare di Irap e di altre tasse senza tener conto che ben oltre metà della spesa è locale.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.