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Torna l’incubo del <i>default </i>modello Argentina?

Il segnale che viene dai Btp

I mercati cominciano a percepire “il rischio Italia”. È meglio evitare di scherzare col fuoco

di Enrico Cisnetto - 03 novembre 2008

Distolti dagli indici di Borsa, agli italiani l’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato o è sfuggito o è stato considerato dai più l’unica notizia economica confortante di questa grama epoca. Invece, il fatto che due giorni fa il differenziale tra i nostri Btp e i loro “cugini” tedeschi, i Bund, abbia sfondato per l’ennesima volta il record storico dall’introduzione dell’euro, arrivando per l’esattezza a 132 punti base, è da considerarsi un campanello d’allarme pericolosissimo, perché segnala che i mercati stanno percependo il “rischio Italia” come nettamente in aumento.

Nei giorni scorsi, infatti, ho avuto notizia di forti ordini di vendita lanciati da grandi investitori istituzionali, che hanno preferito disfarsi di certificati italiani per rifugiarsi in titoli considerati più sicuri (i bund, appunto), pur essendo meno remunerativi. Così, per convincere i potenziali acquirenti, il Tesoro è costretto ad offrire rendimenti di oltre 1,3 punti percentuali superiori a quelli tedeschi. Si dirà: meglio per i risparmiatori. Già, solo che ormai quasi la metà (il 45%) dei titoli italiani è nelle mani di istituzioni straniere. Le quali, più che i rendimenti, cercano titoli sicuri (si chiama “fuga verso la qualità”, in gergo) e seguono scrupolosamente, oltre al sentiment di mercato, anche le indicazioni delle agenzie di rating.

Che cosa succederebbe, in caso di downgrade sul debito italiano? E’ presto detto: si verificherebbe una fuga in massa dai nostri titoli, con le aste pubbliche che – come è già successo qualche mese fa – rischierebbero di andare deserte. E il Tesoro si ritroverebbe in una spiacevolissima situazione, dato che rimborsa i titoli in scadenza con i soldi che arrivano dalle nuove sottoscrizioni. Certo, questa è l’ipotesi più cupa (quella del “default” modello Argentina) ed è uno spauracchio a cui nessuno vuole nemmeno pensare, anche per scaramanzia. Ma pure sgombrato il campo da questo caso-limite, è bene sapere che per i conti pubblici tassi record significano salassi-record: ogni punto in più percentuale di interessi, infatti, comporta un maggior esborso dello Stato di 13 miliardi di euro (una manovra finanziaria, e non delle più leggere).

Nonostante ciò, c’è ancora chi sostiene che in fondo la situazione non è così grave, perché siamo comunque lontani dai tassi-monstre dell’era pre-euro. E’ vero: nel periodo 1990-1996 il differenziale medio tra i Bund e Btp è stato di 452 (quattrocentocinquantadue!) punti base, per poi scendere verticalmente a 25 punti (media del periodo 1999-2005) dopo la creazione dell’eurozona. Tuttavia, se guardiamo agli ultimi mesi, la corsa è impressionante: da quando è iniziata la crisi immobiliar-finanziaria (luglio 2007) il divario tra Bund e Btp è più che quadruplicato, visto che un anno fa era di 27 punti base, ed è quasi raddoppiato anche rispetto all’agosto scorso (70 punti). Una cavalcata micidiale che è probabilmente all’origine, più di ogni altra considerazione economica e politica, del (giusto) arroccamento di Tremonti a difesa della sua Finanziaria, alzando le difese contro chi, per guadagnare consenso in una stagione di nuova e imprevista conflittualità, punta ad ammorbidire la manovra, grazie al clima da “stato di calamità” internazionale. Ma il debito pubblico incombe, ed essendo finita per tutti la stagione della “leva finanziaria lunga”, sarà bene evitare di scherzare col fuoco.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.