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Urge una seria riforma della giustizia

Il “salto” politico di De Magistris

Chi sbaglia deve pagare, altrimenti a farne le spese sono sempre e soltanto i cittadini

di Davide Giacalone - 23 novembre 2009

Quando, nell’estate del 2007, Romano Prodi finì indagato nell’inchiesta denominata “Why not”, la cosa fu strillata a lungo, sulle prime pagine dei giornali. Ora che è stato prosciolto, si deve cercare la notizia fra le cronache. Ed è fortunato, che almeno ci arriva. Dal 2007 ad oggi non si è tenuto alcun processo, sono le indagini che si sono trascinate ben oltre la ragionevolezza. Più di due anni dopo, insomma, sappiamo quel che ne pensa il primo giudice incaricato d’esaminare le carte: non c’è lo straccio di una prova. Gli stessi indizi, sostiene, non erano utilizzabili, perché tutti “de relato”. Chiacchiere, dicerie, insomma. Chi è che le aveva utilizzate per indagare il presidente del consiglio? Ci arrivo.

Il governo Prodi cadde per intrinseca debolezza, ma sarà bene non dimenticare quale fu la causa scatenante: le indagini che coinvolgevano la famiglia dell’allora ministro della giustizia, Clemente Mastella. Cadde per mano delle procure. Lo stesso Mastella fu coinvolto nell’inchiesta “Why not”, anche lui prosciolto, già un anno fa. Anche in questo caso con la notizia passata in sordina. Prodi, in sintesi, era accusato d’essere a capo di una loggia massonica, ovviamente segreta e deviata, con sede a San Marino, che utilizzava come comitato d’affari. Tutta roba campata per aria. Di vero c’erano alcune schede telefoniche, intestate ad un imprenditore, ma utilizzate da uomini vicini a Prodi. Poteva essere una pista, ma non ha portato da nessuna parte.

O, meglio, non del tutto, perché qualcuno, invece, ha fatto strada. Segnatamente il pubblico ministero che aprì quell’indagine e la portò all’attenzione generale, un pubblico funzionario (perché tali sono, i magistrati) che una volta trasferito urlò che si era messa a tacere la sua fondamentale inchiesta. Quel signore oggi lo si può chiamare “onorevole”, perché Luigi De Magistris s’è candidato alle elezioni europee (senza lasciare la magistratura) ed è stato eletto, nelle liste dell’Italia dei Valori. Questi ed altri clamori giudiziari, quindi, qualche cosa di buono lo hanno portato, ma solo a lui, che ha conquistato la notorietà sufficiente a fare il salto verso il seggio, e da qui a svolgere attività politica.

Ritengo che sia un costume patologico, del tutto inconciliabile con la dignità e la preziosità dell’essere magistrati. Penso, però, che certe cose non sarebbero possibili, certe storture non durerebbero a lungo, se non disponessero di forti complicità. Anche culturali. Mi riferisco a giornali e giornalisti, che oggi accettano, con cinica indifferenza, mi mettere la storia in cronaca. Prodi non era un privato cittadino, e anche se lo fosse stato avrebbe diritto a veder proclamata la propria innocenza con lo stesso spazio e lo stesso clamore della presunta colpevolezza. Prodi era presidente del Consiglio, e quei fatti influirono sulla vita del governo. Chi paga, adesso? Nessuno, anzi, c’è chi incassa.

Ove mai si mettesse mano ad una riforma seria della giustizia, anche questo sarebbe un capitolo da affrontare: chi sbaglia deve pagare, altrimenti a pagare sono sempre e soltanto i cittadini e la collettività.

Pubblicato da Il Tempo

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