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Nuovo messaggio a un anno dal precedente

Il ritorno di Osama bin Laden

Il capo di al-Qaeda torna a minacciare l’Occidente, ma oggi appare in seria difficoltà

di Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali - 21 gennaio 2006

A più di un anno di distanza dal suo precedente messaggio, il fondatore di al-Qaeda Osama bin Laden si è fatto vivo il 19 gennaio con un messaggio audio di tre minuti trasmesso dalla tv del Qatar al-Jazira, canale di comunicazione utilizzato di consueto. Un messaggio di tre minuti, dai toni relativamente “pacati”, con una realizzazione tecnica non sofisticata. Un intervento che si può interpretare come un segno di debolezza e un tentativo di riappropriarsi della scena internazionale, ma che non per questo è meno pericoloso e meno ben strutturato.

Nel messaggio bin Laden si rivolge al popolo americano, rivendica di essere vittorioso in Iraq e Afghanistan, attribuisce la possibilità di ritiro delle truppe internazionali ai successi della guerriglia islamica, offre agli Stati Uniti una tregua per ricostruire Afghanistan ed Iraq, avvisa che è in corso la preparazione di nuovi attentati.
Secondo gli analisti statunitensi il messaggio è autentico, la voce e il modo di esprimersi hanno le caratteristiche specifiche di bin Laden. Secondo la tv al-Jazira il messaggio sarebbe stato registrato in dicembre.

Il contenuto del messaggio è subito definito dalle prime parole dello stesso bin Laden: “Il mio messaggio a voi è a proposito della guerra in Iraq e Afghanistan e al modo di porvi termine”.
Bin Laden ribadisce più volte che le forze guerrigliere sono vittoriose mentre le forze della coalizione subiscono gravi perdite, e soprattutto sono da questo demoralizzate.
Bin Laden si sofferma con tono affabulatorio a descrivere la paura e la prostrazione psicologica dei soldati americani schiacciati tra la paura di essere uccisi e quella di essere giudicati dalla corte marziale, mentre devono raccogliere i brandelli di corpo dei loro commilitoni. Tanto da essere spinti al suicidio. È solo uno dei tanti passaggi che mostrano la capacità di bin Laden di scegliere temi e immagini capaci da un lato di colpire la sensibilità occidentale e dall’altro di fomentare il fondamentalismo dei suoi potenziali seguaci. Lo fa di nuovo quando fa riferimento alle torture e ai campi di detenzione compresa Guantanamo, citando a sostegno delle proprie tesi i documenti delle organizzazioni dei diritti umani. E ancora mostra bene di conoscere l’opinione pubblica occidentale quando afferma che la fine della guerra in Iraq, fine che lui sostiene, danneggerebbe solo i mercanti di armi che hanno appoggiato l’elezione di Bush.
Per questi motivi e con queste motivazioni bin Laden si rivolge direttamente al popolo americano (lo aveva già fatto prima delle elezioni presidenziali), sottolineando che ciò che lo ha spinto a prendere la parola è lo scollamento che a suo avviso c’è tra la volontà popolare di ritirarsi dall’Iraq (e fa riferimento ai sondaggi) e l’amministrazione Bush che persiste nel fare i propri interessi ed imbroglia il suo stesso popolo.
Per questo, a suo dire, bin Laden si spinge fino ad offrire una tregua, ma non manca di far presente che la vittoria finale non potrà che arridere ai suoi fedeli.
Nuovi attentati negli Stati Uniti sono pronti, e il ritardo non è dovuto alle inutili misure di sicurezza: così bin Laden vuole minare la fiducia americana e inserirsi nel dibattito sulla sicurezza che già vede in difficoltà Bush, Blair e gli altri leader.
Le armi ad alta tecnologia, dice bin Laden, vi fanno vincere una battaglia, ma non servono a vincere la guerra: con queste parole vuole sminuire la superiorità tecnologica statunitense ed evocare i fantasmi per chi, come si dice in occidente, sa vincere le guerre ma non sa vincere la pace, e non sa costruire sicurezza per gli altri e neanche per sé. Come dimostrano, insiste bin Laden, gli attentati che si sono ripetuti nelle città europee. Su questo bin Laden insiste in più passaggi: voi pensate che sia meglio per la vostra sicurezza portare la guerra sul nostro territorio, noi vi dimostriamo che siamo sempre e comunque in grado di portarla sul vostro. Un messaggio politico ma forse anche un’indicazione, forse anche operativa, ai propri seguaci degli scenari da preferire, se è vero che per il Medio Oriente parla di ricostruzione mentre per l’Occidente di attentati.
Tra i motivi addotti per l’ineluttabile vittoria della sua visione non manca un riferimento tanto religioso quanto socio-economico dall’immagine particolarmente suggestiva: “Voi avete provato a negarci una vita dignitosa, ma non potete negarci una morte dignitosa. Sfuggire dall’applicazione della jihad, che è sanzionata dalla nostra religione, è un orripilante peccato. Il miglior modo di morire per noi è all’ombra delle spade”.
Non mancano neanche riferimenti alla storia (la guerra antisovietica in Afghanistan) e all’economia, oltre che alle devastazioni che gli occidentali avrebbero portato nel mondo islamico.

Questi e altri elementi (come la dura condanna di Bush e dei suoi consiglieri, anche con la citazione di episodi specifici scelti per mettere in cattiva luce e in qualche modo persino ridicolizzare) sono organizzati per poter parlare al popolo americano.
Una scelta che si basa su due motivi: il primo è la visione messianica di bin Laden che considera comunque i popoli, e in particolare la comunità dei credenti musulmani, il suo interlocutore, scavalcando tutte le autorità politiche, che non riconosce; il secondo è il tentativo politico di indirizzare l’opinione pubblica (soprattutto in Occidente, dove conta) inserendo cunei profondi tra il sentimento popolare e le scelte delle leadership, qualunque leadership (a ottobre 2004, prima delle presidenziali, bin Laden criticò duramente anche Kerry) ma in particolare quella di Bush e dei suoi più stretti alleati.

Ma c’è un secondo destinatario di questo messaggio, che come sempre è il mondo musulmano. Possiamo anzi ritenere che nelle sue diverse sfumature questo sia da considerarsi il primo e il vero destinatario.
Quanto dice, bin Laden lo dice per dimostrare al “suo popolo” una serie di elementi:
• di essere vivo e al comando. Il fatto stesso che lo debba riaffermare costituisce un segnale di debolezza percepito dagli esperti, ma non necessariamente dalla popolazione;
• di essere dalla parte della ragione e della giustizia, tanto da proporre tregue che è responsabilità degli altri rifiutare;
• di essere attento ai bisogni della popolazione, sia ai danni materiali e morali da loro subiti, sia al desiderio di vendetta, sia però anche alle necessità di una ricostruzione. Bin Laden vuole dimostrare di non essere quello che mira a seminare morte e distruzione nel mondo islamico, ma anzi colui che vuole favorirne la rinascita;
• di avere quindi un’autorevolezza maggiore di altri leader che hanno conquistato la ribalta, come soprattutto al-Zarqawi in Iraq, i quali, vuole rimarcare bin Laden, non hanno la sua visione ampia, il suo afflato spirituale, la sua capacità strategica di lungo periodo;
• di essere comunque in grado di colpire, e duramente, anche nei Paesi occidentali, come già fatto ma come, a suo dire, sta per rifare. L’ammissione e la giustificazione dei ritardi nel compiere nuovi attentati negli Stati Uniti fa pensare che la sua organizzazione sia in affanno. Ma conferma anche la necessità di compiere attentati, e quindi la realtà e la pericolosità della minaccia.

Interessante è anche il mezzo di comunicazione utilizzato. Al-Qaeda da sempre ha fatto grande attenzione all’impatto mediatico. Gli attentati compiuti sono stati pensati per i media, e i messaggi sono sempre stati preparati con grande cura, anche tecnica. Sul web si sono moltiplicati video e iniziative di propaganda (dal tg, al cartone animato, al talk show) sempre più raffinati. In questo caso invece, dopo oltre un anno di assenza, bin Laden ha affidato il suo pensiero, le sue proposte e la sua propaganda a un nastro audio breve e non tecnicamente troppo pulito. Anche questo sembra essere un segnale delle difficoltà in cui si trova, dell’attenzione che deve fare per non essere individuato, e della penuria di mezzi attualmente a sua disposizione. Un’altra possibilità è anche che le sue condizioni fisiche non gli permettano di fare di più e di meglio: per mesi si sono rincorse le più disparate voci sulla sua morte. Il nastro ne è una smentita, e forse ha proprio anche questo scopo, ma potrebbe essere stato comunque condizionato da circostanze difficili per bin Laden. Ovviamente nulla di tutto questo può essere dato assolutamente per scontato (potrebbero essere scelte dettate da altre visioni strategiche non legate a motivi di sicurezza o di salute), ma resta l’interpretazione più probabile.

Il contesto del messaggio:
situazione internazionale, riappropriazione della leadership

Gli elementi che sembrano a diverso titolo costituire il contesto (e quindi le motivazioni) del nuovo messaggio di bin Laden sono i seguenti:
• le voci sempre più insistenti sulla sua morte e comunque sulle sue condizioni di salute;
• le voci altrettanto insistenti sulla sua incapacità di rimanere al comando di al-Qaeda;
• lo sviluppo del processo politico in Iraq ed in Afghanistan;
• il contesto strategico generale del Medio Oriente, che seppur con difficoltà pare procedere verso situazioni di progresso politico, come in Libano, Palestina, Israele, Egitto, Penisola Arabica, Pakistan, mentre i paesi più “estremisti” come Siria e Iran vengono isolati e chiusi all’angolo;
• le ipotesi di ritiro parziale da Iraq e Afghanistan dei contingenti militari internazionali compreso in particolare quello statunitense;
• il ruolo crescente assunto da al-Zarqawi come modello e riferimento dei gruppi estremisti non più solo iracheni;
• benché il messaggio sia precedente, la scelta del momento della diffusione potrebbe essere stata almeno in parte influenzata dal bombardamento americano pochi giorni fa di un villaggio pachistano, durante il quale sono morti tre elementi di spicco di al-Qaeda ed era bersaglio anche Ayman al-Zawahiri.

Questi elementi possono essere sintetizzati nello sforzo di bin Laden di dimostrarsi al vertice della lotta armata estremista, punto di riferimento di tutti i combattenti. Da un punto di vista operativo, il suo ruolo e quello della leadership tradizionale di al-Qaeda appare sempre meno centrale, se non in occasione di eventi particolari, clamorosi ma occasionali (gli attentati in Europa, ad esempio). Al contrario la ribalta dei mezzi di informazione è stata conquistata da gruppi più operativi sul campo, il cui esempio principale è senz’altro Abu Moussab al-Zarqawi. Costui solo dopo un lungo e lento avvicinamento è stato inserito ufficialmente nel sistema di al-Qaeda, e subito ha continuato la sua scalata in virtù dei gesti feroci e ben medializzati condotti sul campo di battaglia iracheno. Negli ultimi tempi, seppur messo in difficoltà in Iraq sia dalle operazioni militari statunitensi sia dal processo politico in corso, al-Zarqawi è riuscito comunque ad occupare con la sua propaganda, ben preparata, i mezzi di comunicazione e soprattutto il web (più suoi che di bin Laden sarebbero ad esempio i tg di al-Qaeda), e in tal modo ha di conseguenza esteso la sua rete di alleanze e di rapporti, tanto che ha sponsorizzato attentati al di fuori dell’Iraq (in Giordania, ad esempio) e che sembrerebbe essere riuscito a stringere alleanze operative con gruppi in precedenza più direttamente legati a bin Laden, come i principali gruppi nordafricani e sauditi. Da un punto di vista ideologico la lotta armata islamista si richiama ormai più alla causa irachena che a quella afgana. E le azioni di Zarqawi sono diventate un modello di lotta, tanto che se prima erano i combattenti e i combattimenti afgani a fare da riferimento, ora le tecniche irachene (rapimenti, video, decapitazioni, attentati suicidi) si sono estese anche all’Afghanistan.
In passato bin Laden almeno una volta aveva citato al-Zarqawi considerandolo a pieno titolo un suo luogotenente. Ora invece di al-Zarqawi non parla. Anzi di recente si sono succeduti con una certa frequenza i messaggi del luogotenente storico al-Zawahiri, come a marcare il territorio, anche quando non c’era un evento particolare da commentare. Inoltre la strategia indicata da bin Laden ha aspetti profondamente diversi da quella di al-Zarqawi, al quale peraltro è difficile attribuire una lucida linea politica che vada al di là del recare il massimo danno. Lì dove al-Zarqawi punta a grandi massacri, senza disdegnare in alcun modo di fare il massimo numero di vittime tra gli stessi iracheni, e insiste sulla guerra locale irachena, bin Laden al contrario si presenta come attento alle esigenze della popolazione, sponsor della tregua e della ricostruzione, capo di un gruppo combattente più pronto al martirio che a commettere stragi, determinato a colpire i nemici occidentali dell’Islam, preferibilmente sul loro territorio.
Tutto questo ben si inserisce nel contesto del processo politico in corso in Iraq e in Afghanistan e nelle scelte sempre più evidenti di ridimensionare i contingenti militari occidentali. Bin Laden vuole che questi ritiri avvengano, ma che il merito sia attribuito a lui, e non alla violenza di Zarqawi o all’avanzare della democrazia occidentale. Il ritiro dev’essere una fuga davanti alle sua minacce, e allo stesso tempo il processo politico in corso, violentemente osteggiato da Zarqawi, appare forse al momento meno intollerabile a bin Laden purché non sia fatto contro di lui ma anzi lui possa condizionarlo pur senza rientrarvi.
In sintesi appare probabile che il messaggio di bin Laden sia nato soprattutto dall’esigenza di riaffermarsi come leader dell’estremismo islamico armato, leader ancora al comando e capace di compiere azioni, e allo stesso tempo capace di ottenere risultati politici.

Conclusioni

Non bisogna trascurare la forza del messaggio di bin Laden, ma complessivamente esso appare come un segnale di debolezza.
Rimane possibile che il messaggio serva anche ad attivare operazioni terroristiche, specialmente con i riferimenti ripetuti al portare la guerra nei territori occidentali. E comunque il messaggio è ben strutturato, con tutte le capacità di accrescere l’immagine e lo status di bin Laden presso i suoi seguaci e quella fascia di popolazione islamica con tendenze estremistiche. Potrebbe quindi ottenere almeno per ora l’obiettivo che si pone, cioè quello di riappropriazione della leadership. Difficile ad esempio che personaggi come al-Zarqawi scelgano di contrapporsi apertamente alla figura di bin Laden, ad esempio contestandone l’offerta di tregua. È però possibile che essi, Zarqawi in particolare, possano decidere di dare una risposta indiretta con azioni clamorose o con propri messaggi senza riferimenti diretti.
Resta comunque un punto centrale il fatto che nel messaggio si colgono molti elementi di difficoltà da parte di bin Laden.
Intanto l’offerta di tregua è irrealistica, e questo probabilmente bin Laden lo sa. Ciò in cui probabilmente sbaglia è nel vedere una divisione tra l’opinione pubblica americana e la presidenza: gli statunitensi sono infatti del tutto convinti della guerra senza quartiere al terrorismo, il problema è che non sono unanimi sul come.
Si segnala comunque uno slittamento del leader di al-Qaeda verso un ruolo più politico-ideologico e meno operativo, aspetto già emerso negli ultimi mesi, come ad esempio nel messaggio di al-Zawahiri dopo il terremoto in Kashmir, primo messaggio attento alle esigenze della popolazione e contenente offerte di aiuto e di sospensione degli attacchi nell’area per consentire la ricostruzione.
Questo slittamento verso il piano politico (non certo inteso in senso occidentale, e comunque senza rinunciare a una lotta armata senza quartiere, come ribadito dallo stesso bin Laden) segue a un oggettivo indebolimento di al-Qaeda. Prima di tutto perché è fallito il piano di bin Laden di promuovere una grande insurrezione dei popoli islamici. La sollevazione che doveva essere ottenuta con l’11 settembre e le successive reazioni americane (che bin Laden sperava molto più devastanti e quindi creatrici di maggior rancore e voglia di vendetta), non si è verificata. Si è creata solo una guerriglia armata forte ma locale, come in Iraq, che ha finito per assurgere al centro della scena, facendo passare in secondo piano gli obiettivi internazionalisti di bin Laden e le sue azioni. Il gruppo storico che costituiva l’ossatura di al-Qaeda, quello egiziano della Jemaa islamiya, coordinato da bin Laden e rafforzato dalla fedeltà dei reduci dall’Afghanistan, ha finito per essere superato da altri attori, soprattutto dai combattenti iracheni (o meglio dai guerriglieri internazionali in Iraq) e dai loro capi, che hanno creato nuovi legami di solidarietà e hanno sviluppato esperienze e conoscenze tecniche all’altezza dei loro predecessori, potendoli così sostituire sia sul piano operativo che su quello dell’immaginario, favoriti in questo dall’attenzione mediatica al loro scenario e dalla relativa facilità con cui possono compiere azioni operative.

Per gentile concessione del Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali

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