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Lavorare contro il declino

Il rilancio parte da Bruxelles

Se le economie nazionali non collaborano, l'Europa è destinata alla stagnazione.

di Enrico Cisnetto - 24 aprile 2005

A meno che le economie che la compongono si mettano a lavorare nella stessa direzione, fino a diventare una sola, l’Europa – oppressa dagli stessi problemi strutturali dell’Italia (anche se noi riusciamo a far peggio) – è inesorabilmente destinata alla stagnazione.

L’ennesima conferma che l’attesa di una congiuntura migliore è malriposta arriva dalle stime del Fondo Monetario e dal Rapporto trimestrale della Commissione europea sulle prospettive di crescita dell’Eurozona per il 2005 e il 2006. Dalle quali si evince che Eurolandia è la pecora nera dell’economia mondiale, la quale continuerà a correre nell’anno in corso oltre il 4% (dopo il 4,8% del 2004) esclusivamente grazie alla Cina (con una crescita all’8,5% per il 2005 e all’8% per il 2006) e agli Usa (3,6% per entrambi gli anni). Invece, il pil dei 12 paesi dell’euro si attesterà all’1,6% (contro il 2,1% dell’anno scorso), e se tutto va bene, perché il primo trimestre è stato a “crescita zero”.

Le cause di questa deludente performance vanno ricercate nella debolezza della bilancia commerciale europea, e quindi in parallelo della produzione industriale. Ma la débacle continentale ha caratteristiche di lungo periodo, che nascono dalla mancata integrazione del mercato comune. Tanto che, mentre l’economia globale “tira” a livelli record, quella europea viaggia a velocità dimezzata, escludendo così che il motivo della stagnazione europea stia nel “ciclo” mondiale. Ergo, non solo non abbiamo agganciato la locomotiva Asia-Usa, ma non siamo più neppure l’ultimo vagone di quel treno, ci siamo sganciati. L’Europa è stata spiazzata due volte, dalla concorrenza dei Paesi emergenti, scaltri nell’approfittare dei vantaggi della globalizzazione, e dall’abilità degli americani, leader nelle tecnologie, che hanno preferito guardare ad Oriente per la fornitura dei beni di consumo. Ma le colpe – e le risposte, sia chiaro – stanno tutte in Europa. Sia perché nel mercato globale alcuni problemi (flussi di merci e persone, regole comuni) possono essere affrontati solo con un’ottica continentale, sia perché la mancata coesione – sintomatico il rallentamento dell’adozione della direttiva sulla liberalizzazione dei servizi, e quella sulle Opa (di cui si discute da quindici anni) – porta al crollo di competitività, preclude la possibilità di godere dell’abbattimento delle frontiere e soffoca la crescita potenziale. La soluzione non passa certo per le singole ricette nazionali, siano esse franco-tedesche o anglo-spagnole. Finché non ci sarà questa consapevolezza, di cui al momento non si vede neppure l’ombra, l’Europa è destinata a sprofondare, con tanti saluti alla strategia di Lisbona.

In chiave italiana, le difficoltà europee sono state fino ad oggi usate come alibi per giustificare le nostre inadempienze. E’ ora di uscire dall’equivoco: noi siamo la terza economia dell’Eurozona, e perciò se l’Ue arranca è anche a causa nostra (e lo dimostra la media di crescita del pil italiano nel periodo 2001-2005, pari allo 0,94%). Da “zavorre” del Continente dovremmo essere i più sensibili all’esigenza di far ripartire il processo d’integrazione, consci che da soli non possiamo sfuggire dalle secche della stagnazione. Cosa aspettiamo, che l’eventuale no dei francesi alla Costituzione europea faccia esplodere il Vecchio Continente?


Pubblicato sul Messaggero

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.