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Partiamo dal risanamento delle istituzioni

Il rilancio della competitività

Allarme TPS: l'Italia rischia di peggiorare le previsioni per mancanza di competitività

di Cinzia Giachetti* - 14 novembre 2007

Siamo abituati ormai ai discorsi senza senso dei nostri politici, ma ora è troppo. Colui che dovrebbe essere il principale responsabile del programma di rilancio della competitività del paese, lancia l’allarme “rischio di crescita” per l’Italia da Bruxelles. Forse sa che se lo avesse detto in Italia gli avremmo risposto che ormai è dalla metà del decennio scorso che il nostro paese è in continuo declino, con brusche accelerazioni dal 2001 . L’Italia si conferma ogni anno fanalino di coda tra le grandi democrazie industrializzate, sia come dati quantitativi (investimenti in infrastrutture, ricerca e sviluppo, capitale umano e altri indicatori macroeconomici e fiscali), sia come. dati qualitativi (tessuto istituzionale e capacità della classe dirigente)

Padoa Schioppa dovrebbe sapere ben interpretare questi dati e avrebbe dovuto elaborare una finanziaria per il rilancio e invece da un lato tarTASSA i cittadini e le imprese, non fa investimenti e taglia le spese sbagliate, lasciando gli sprechi e il debito pubblico come problemi da risolvere alla prossima legislatura e dall’altro si fa bello di fare previsioni catastrofiche, piuttosto scontate per il paese.

Ma chi gli dice che dovrebbe fare un esame di coscienza prima di parlare ? Consiglio a Padoa Schioppa di leggersi il libro “Lo spettro della competitività e le radici istituzionali del declino italiano” scritto da Alberto Vannucci e Raimondo Cubeddu. Troverà molti spunti interessanti che attribuiscono principalmente la responsabilità della mancata crescita in competitività alla macchina istituzionale e organizzativa del nostro Stato, malato da tempo e che dovrebbe armonizzare le capacità dei “decision makers” politici, economici e sociali per assemblare la macchina della competitività. Nell’epoca della globalizzazione il fattore tempo è alla base dell’efficienza di un sistema di governo moderno e capace di competere. La rapidità di apprendere i cambiamenti, la concorrenza e la capacità di trovare risposte con nuove idee, sperimentando nuove soluzioni è la base fondante che premia un sistema istituzionale, imprenditoriale e sociale e lo rende capace di cogliere il rapido mutare del mondo globale.

Gli ostacoli alla crescita sono molti e da attribuirsi principalmente ad una inefficienza dinamica: • burocrazia dilagante che mal si sposa con la necessità di rendere il sistema dinamico e veloce nelle reazioni per offrire risposte e soluzioni
• formazione del capitale umano: anziani sempre più numerosi, giovani poco motivati a partecipare alle scommesse del paese, bassi tassi di occupazione e fuga dei cervelli all’estero • scarsità in investimenti in ricerca e sviluppo di qualità: finanziamenti a pioggia con scarsa ricaduta sulla produzione di tecnologie innovative, prodotti nuovi e brevetti
• liberalizzazioni importanti non realizzate e quelle realizzate hanno avuto scarsi vantaggi per i cittadini
• incapacità di attrarre investimenti stranieri per mancanza di infrastrutture, alto costo di servizi totalmente inefficienti, costo del lavoro e pressione fiscale troppo elevata
• imprese con scarsa capacità di innovazione, perdita di quote commerciali, carente acquisizione di tecnologie dall’estero e più attente a rafforzare le loro relazioni politiche e sociali
• scarsa capacità di interazione università-imprese e scarsi risultati delle circa 300 organizzazioni miste pubblico-private nate negli ultimi 20 anni per favorire la collaborazione tra mondo della ricerca e mondo delle imprese
• spreco di risorse per la spesa pubblica, inclusa la politica, accompagnata dalla totale incapacità di gestire la governance del paese con conseguente e progressivo aumento del debito pubblico

In questo quadro devastante da dove ripartire è difficile individuarlo, certo è che l’investimento complessivo nell’economia della conoscenza [European Commission (2003°, 26), calcolato sommando investimento in R&D, numero di ricercatori, dottorati in scienza e tecnologia, formazione permanente, e-government, formazione del capitale lordo (al netto delle costruzioni)] sembra l’acceleratore della macchina istituzionale.
v Il linguaggio dei “decision makers” del nostro paese pone la parola competitività al centro delle loro filippiche e dei loro programmi, ma poi le singole azioni sembrano più dettate dalla voglia di optare per soluzioni che portino risultati a breve, piuttosto che soluzioni di più ampio respiro e più coraggiose per le grandi riforme istituzionali orientate al rilancio della competitività. [Vannucci, Cubeddu – Lo spettro della Competitività: le radici istituzionali del declino italiano] Le istituzioni, nella loro evoluzione, possono allora risultare decisive nel promuovere comportamenti imprenditoriali creativi o viceversa nell’indurre un mero adattamento parassitario all’inefficiente quadro di regolazione esistente

Pensare di identificare un quadro esaustivo che detti un programma per il rilancio della competitività non è mio compito, ma dalla mia esperienza di “operatore di promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico” posso solo elencare le “sacche” dove ho avuto modo di identificare la necessità di misure urgenti per lo sviluppo:

• snellire le procedure amministrative: semplificazione, trasparenza e riduzione dei tempi, applicando in modo intensivo le tecnologie informatiche • implementare le vere privatizzazioni di cui il paese ha bisogno, controllando anche che quelle poche attivate abbiano prodotto vantaggi per i cittadini • puntare sulla formazione dei giovani e sul ricambio generazionale a tutti i livelli istituzionali, con particolare riferimento al management, favorendo la presenza di donne in ugual misura degli uomini •implementare le grandi riforme con più coraggio e lungimiranza (pubblica amministrazione, welfare puntando sul concetto di stipendi basati sulla meritocrazia anche nel settore pubblico, sistema giudiziario, istruzione, università …) • puntare sulla CSR (Corporate Social Responsibility) e su un nuovo Codice Etico delle Istituzioni e della politica per ritrovare affidabilità e fiducia da parte dei cittadini, a vantaggio della corporate governace, del sociale e del rispetto dell’ambiente. • Identificare organismi di controllo di qualità, con controlli periodici per:

o Gestire gli investimenti in ricerca e sviluppo, rispettando la regola del più meritevole per la ricezione dei fondi della ricerca, abbandonando il metodo di finanziamenti a pioggia

o Riorganizzazione il sistema di trasferimento dell’innovazione, tagliando enti inutili e investendo in quelle organizzazioni miste pubblico-private che offrono risultati quantitativi e qualitativi di trasferimento di know-how e tecnologie innovative realizzati

o Sistematizzare le procedure, i servizi e l’assistenza per portare i risultati della ricerca al mercato, snellendo le procedure per la brevettazione e creando sportelli decentrati nelle regioni italiane di facile accesso agli utenti

Dirigente industriale
Presidente Federmanager - Pisa,
Presidente Progetti Manageriali s.r.l. - Roma

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