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Gli italiani che hanno fatto la Storia

Il ricordo di Aldo Garosci

La visione integralmente democratica di Aldo Garosci ne ha fatto forse uno straniero in una patria troppo spesso incerta fra egoismi settoriali delle minoranze privilegiate e esasperate reazioni demagogiche.

di Mario Bernabè - 05 settembre 2012

Risale al 1954 la pubblicazione del saggio su “ Il pensiero politico degli autori del Federalist” presso le edizioni di Comunità di Adriano Olivetti. Avvicinandosi il sessantesimo anniversario della pubblicazione sarebbe forse opportuno riproporre l’argomento. Ciò non solo per la attualità del tema, ma anche per rivalutare la figura di Garosci che gli integralisti e i clericali di ogni colore sembrano aver voluto condannare ad una sorta di postuma “ damnatio memoriae”.

Garosci, nato nel 1907 a Meana di Susa in provincia di Torino, si applicò alla ricerca socio-politica fino dagli anni dell’Università. Negli anni in cui Piero Gobetti stampava la sua Rivoluzione Liberale, in quella stessa Torino Garosci (con Mario Andreis) elaborò e distribuì fra gli operai il foglio “ Voci di officina” in cui mazzinianamente sosteneva la necessità di istruzione e di autogestione del proletariato, essendo evidentemente insufficienti le libertà formali (come la libertà di stampa) a chi non sapeva né leggere né scrivere. Ciò gli valse l’arresto ed una successiva veloce liberazione per insussistenza di motivazioni. Appena libero emigrò in Francia, ove fu fra i più stretti collaboratori del gruppo Giustizia e Libertà e scrisse, con lo pseudonimo di “ Magrini” quasi in ogni numero dei Quaderni del gruppo nel 1932 e 1933, criticando non solo il regime fascista, ma anche la politica del vertice della Chiesa Cattolica che con PioXI aveva definito Mussolini “ uomo della Provvidenza”. Allo scoppio della Guerra di Spagna fu insieme a Carlo Rosselli combattente nelle brigate internazionali a sostenere la necessità degli Stati Uniti d’Europa. Terminata questa si recò a Londra e di qui a New York.

Durante la seconda guerra mondiale a New York fu attivo nella Mazzini society presieduta da Gaetano Salvemini. La Mazzini desiderava organizzare fra i fuorusciti una Legione Italica che, sotto la guida militare di Randolfo Pacciardi, già ufficiale dei bersaglieri pluridecorato al valor militare, potesse affiancarsi alle truppe alleate. Quando fu evidente l’impossibilità pratica di realizzare il progetto, Garosci con Tarchiani, Zevi e Vittorelli si recò a Londra. Da Londra ottenne dall’esercito inglese di essere paracadutato in Italia alle spalle dell’esercito tedesco e partecipò attivamente alla guerra di Liberazione. Nel dopoguerra fu fra gli esponenti di maggior rilievo del Partito d’Azione fino allo scioglimento dello stesso.

Svolse attività di giornalista come direttore del quotidiano Italia socialista e poi del giornale socialdemocratico L’Umanità, mantenendo costante la visione federalista europea. Collaborò ai periodici di area laico-progressista: dal Mondo di Mario Pannunzio al Ponte di Calamandrei e a Comunità di Adriano Olivetti.

Nel 1963 al dodicesimo Convegno degli “ Amici del Mondo” dedicato alla politica del centro-sinistra fu incaricato della relazione sulla politica estera, mentre l’amico Leo Valiani tenne quella sulla politica interna, entrambi consapevoli che una moderna democrazia può e deve ispirarsi al binomio Giustizia e Libertà.

Fu docente universitario di storia contemporanea ed autore di svariati volumi fra cui la fondamentale “ Vita di Carlo Rosselli”. Alieno da ogni forma di tatticismo si espresse sempre con vigore e chiarezza contro ogni tipo di assolutismo e di chiusura dogmatica fino alla morte che lo colse nel 2000. Fu sempre e costantemente in contrasto non solo contro i nazionalismi e gli autoritarismi, ma anche contro quei regimi che venivano eufemisticamente definiti “del socialismo reale”, il cui tragico declino dagli ideali originari fu con rara efficacia sintetizzato da Arthur Koestler nel suo “Buio a mezzogiorno“. Quelle società erano state infatti trasformate in vere e proprie “dittature SUL proletariato” da parte di una casta di burocrati che Milovan Gilas definì “la nuova classe”. La visione integralmente democratica di Aldo Garosci ne ha fatto forse uno straniero in una patria troppo spesso incerta fra egoismi settoriali delle minoranze privilegiate e esasperate reazioni demagogiche. Ne ha reso da tempo quasi impalpabile ed evanescente il ricordo per la soddisfazione di chi nelle radici dei suoi avversari storici ancora riconosce la propria lontana ispirazione, purtroppo insensibile ai fallimenti e agli insegnamenti della storia.

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