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Dal Picasso rubato ai contanti in tasca

Il quadro del cash

In Germania non ci sono limiti alla circolazione del contante, da noi invece è un reato usarla troppo

di Davide Giacalone - 05 novembre 2013

Con amara ironia si potrebbe dire che ne esce un bel quadro. Un fatto di cronaca ci riagguanta all’incancellabile peso della storia, ma anche al peso delle regole monetarie. A quanto siano vicine le colpe di ieri, ma anche a quanto siano grandi quelle di oggi. E se le colpe di ieri vanno ammesse, riconoscendo l’abominio contro persone che non ci sono più, le colpe di oggi vanno corrette in tutta fretta, perché costituiscono un indebito vantaggio per alcuni e un irragionevole svantaggio per altri. Il fatto: Hildebrand Gurlitt era un critico d’arte tedesco, morto nel 1956 e operante durante il nazismo; il costume degli svasticati era quello di rubare opere d’arte, sia agli ebrei che perseguitavano che ai paesi che occupavano; Hildebrand ne accumulò 1500 in casa propria (Picasso, Matisse, Klee, Kokoschka, Chagall … e altra arte “degenerata”, che i degenerati veri prendevano), che ora, a Monaco, è quella del figlio, Cornelius. Ebbene: Cornelius ancora detiene quei quadri e gradualmente li vendeva. Le lezioni da trarne riguardano il passato che non passa, ma anche il presente che non può passare sotto silenzio.

Per il passato: quelle sono opere rubate, in molti casi sottratte in cambio della fuga, quindi della vita. Vanno restituite. Una a una. Se l’operazione dovesse creare delle difficoltà, se lo sterminio fosse riuscito a cancellare anche i discendenti, quei quadri restino a imperitura memoria della vergogna. Il gestore migliore sarebbe, in quel caso, Israele. Noi italiani siamo gli ultimi a poter fare la morale a quel passato tedesco, perché ne fummo alleati. Un orrore che resta nella nostra memoria collettiva. Proprio perché non siamo estranei, sappiamo quali fantasmi si agitano nel nostro ieri. Appena ieri. E proprio perché lo sappiamo abbiamo il dovere di ricordarlo ai nostri presenti concittadini (europei) tedeschi. Quei quadri non sono un affare tedesco, sono un affare dell’umanità. Il merito della rivelazione va al settimanale tedesco Focus. Il demerito dell’avere, fin qui, mantenuto il segreto va alle autorità tedesche.

Poi c’è il presente: Cornelius è una specie di sconosciuto, per lo Stato tedesco. Non aveva lavoro, assicurazioni o posizione fiscale. Lo beccarono alla frontiera, mentre rientrava dalla Svizzera portando con sé soldi che non sapeva giustificare. Così iniziarono indagini, che hanno portato alla scoperta. Fatto è che Cornelius ha un bel libretto al portatore, in Germania, nel quale tiene 500mila euro. Se uno di noi ci provasse, in Italia, finirebbe nei guai immediatamente, visto che una nostra legge imponeva di identificare i beneficiari entro il 31 marzo del 2012. Ove non lo si fosse fatto la sanzione da pagare, per cifre superiori a 50mila euro, va dal 45 al 60% del depositato (se è meno di 3mila euro ti portano via tutto, mentre “solo” dal 30 al 40% fino a 50mila). Nessuno di noi, in Italia, può cedere titoli al portatore o pagare in contante più di 999,99 euro. Le nostre banche sono obbligate a segnalare le difformità.

Come è possibile che, in Germania, Cornelius non sia stato individuato prima? Semplice: perché non c’è limite all’uso del contante e nessun obbligo per le banche (felici di raccogliere anche i suoi soldi). Da noi non puoi pagare più della già citata cifra (999,99), in Germania quello che ti pare. Se ne deve dedurre che in Germania non ci tengono alla lotta contro l’evasione fiscale? In effetti hanno il più consistente ammontare d’evasione, in Europa, ma non è questo il punto (sono anche l’economia più grande). Del resto, lo stesso Cornelius è stato fermato perché la sua provenienza e il suo portafogli lasciavano supporre evasione ed esportazione in terra elvetica. Il fatto è che i tedeschi non credono sia saggio combattere il virus ammazzando il corpo che lo ospita, o combattere l’evasione rendendo più complicate le transazioni. Non hanno torto. E i risultati che ottengono dovrebbero essere studiati dai nostri abolizionisti della moneta. Non a caso le transazioni, in terra germanica, sono al 60% regolate per contante. Il che comporta un risparmio per il commerciante, come per il cliente. Da noi, infatti accettare un pagamento bancomat costa, al commerciante dallo 0,40 allo 0,80%. Con una carta di credito si va da 2 al 4%. I bonifici costano 4,50 euro. Sul lato cliente ciascuno di questi sistemi costa, come costa il ritirare soldi da un bancomat. Una tassa neanche troppo occulta, in gran parte destinata alle banche e ai gestori delle carte. Con il che non si sostiene sia migliore il cash, ma che si deve rendere più conveniente la moneta elettronica.

Tutti abbiamo la stessa moneta in tasca, ma da noi è un reato usarla troppo, se vai in banca te ne danno di meno e se te la prestano la paghi di più. Come si può supporre che funzioni? Difatti, non funziona. Tale constatazione non è polemica con i tedeschi (detto tra parentesi: se fossi elettore, oltre che cittadino europeo, voterei felice per Helmut Schmidt, anche per come ha ridicolizzato la Merkel e tutti gli ipocriti scandalizzati per il datagate). Infastidiscono, semmai, i nostrani che pretendono di ubbidire ai tedeschi senza neanche essere capaci di imitarli. Come nutrirsi solo di würstel, ma negando il diritto di berci la birra: ci si strozza.

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