Ma la società non è pervasa da questo fenomeno
Il problema politico delle quote rosa
Rischio che diventi una vecchia rivendicazione femminista. Meglio la psicanalisi alloradi Antonio Gesualdi - 26 maggio 2006
Le donne sono, mediamente, la maggioranza di ogni popolazione nazionale. Alcuni paesi, soprattutto quelli islamici, hanno tendenzialmente più maschi che femmine, ma in tutti gli altri paesi le donne sono di qualche percentuale in più. Questo significa che se la questione delle "quote rosa" è una questione di "genere" allora la sola unica soluzione è metà-e-metà. In Francia, agli inizi del duemila, è stata varata una legge che prevede l"obbligo di presentare liste elettori nelle elezioni amministrative che comprendano candidati alternati maschio-femmina. Questo ha fatto balzare la presenza delle donne nelle amministrazioni locali dal 13 al 47%.
Buon senso vorrebbe che le donne, come gli uomini, fossero impegnate e impiegate in tutti gli ambiti allo stesso livello degli uomini. Le società che hanno segregato le donne, in realtà, hanno condannato se stesse alla miseria. Impedendo a metà della popolazione di andare a scuola, di avere un lavoro, di esprimere il proprio talento liberamente si impedisce – in linea teorica – di "produrre" una fetta consistente, se non proprio la metà, di reddito e di ricchezza nazionale. E" pur vero che i "generi" sono due e hanno specificità molto evidenti almeno a livello riproduttivo della specie. Ma è pur vero che la mentalità, la cultura, la scienza e la tecnologia, evolvendosi, hanno permesso di rendere sempre meno invasivo, almeno a livello fisico, il periodo della riproduzione nella vita di una donna.
Il problema, quindi, si pone a livello politico perché è la politica che segna l"agenda collettiva e quindi marca gli argomenti del giorno. Nessuno di noi si sogna di chiedere, ad esempio, la presenza di ingegneri progettisti metà uomini e metà donne. A nessuno viene in mente che in una sala operatoria ci debbano essere interventi con chirurghi che si alternino; maschio-femmina. Nessuna rivendicazione di "quote rosa" avviene nei lavori usuranti, anzi.
Se così è si pone una domanda: perché la politica, allora, rivendica qualcosa che non è pervasiva nella società? Se la questione delle quote rosa non è una questione che attiene ogni ambito della vita quotidiana quali sono le ragioni che ne fanno una questione politica e, in specifico, di quote all"interno della rappresentanza politica?
Perché è una questione di "genere" ed probabilmente nelle società avanzate il "genere" vuole essere rappresentato in quanto tale. La presenza di donne in politica non significa nient"altro che la rappresentanza della donna. Niente di più, niente di meno altrimenti creeremmo delle incongruenze in tutti gli ambiti dove le donne non vogliono o non possono accedere. Non dimentichiamo, infatti, che in Italia nella popolazione occupata solo il 39% è donna e che solo nel 2005 e solo al Sud le donne hanno perso 40.000 posti di lavoro. Anzi esperti dell"Istat sostengono che le donne del Sud hanno proprio rinunciato a cercarlo, il lavoro: evidentemente esse non hanno neppure una nursery da mettere in piedi in quattro e quattr"otto come vogliono fare a Montecitorio per permettere a una deputata di allattare sul luogo di lavoro.
Grazie allo stato delle cose i generi sessuali comprendono tutto il resto (età, stato fisico, preferenze sessuali, religiose, meridionali, settentrionali ecc.) e quindi possiamo anche ipotizzare che risolta la questione delle quote rose non avremo una richiesta di quote giovani, quote anziani, quote scapoli e quote ammogliati, quote disabili, quote immigrati eccetera perché la quota rosa (con implicita la "quota azzurra") comprende tutti i "generi"... umani. Ma in politica solo la soluzione metà-metà – un uomo, una donna – dovrà essere ritenuta accettabile. Se così non sarà, allora le "quote rosa" non sono altro che una vecchia e stantia rivendicazione di un femminismo (e di una politica modernista da anni ottanta) per il quale la lotta tra i sessi è ancora imperante nella psiche di quelle donne (e quegli uomini). Ma per questo è consigliabile più la psicanalisi che la politica!
PS - Al più sarà da prevedere eventuali "quote ermafrodite".
Buon senso vorrebbe che le donne, come gli uomini, fossero impegnate e impiegate in tutti gli ambiti allo stesso livello degli uomini. Le società che hanno segregato le donne, in realtà, hanno condannato se stesse alla miseria. Impedendo a metà della popolazione di andare a scuola, di avere un lavoro, di esprimere il proprio talento liberamente si impedisce – in linea teorica – di "produrre" una fetta consistente, se non proprio la metà, di reddito e di ricchezza nazionale. E" pur vero che i "generi" sono due e hanno specificità molto evidenti almeno a livello riproduttivo della specie. Ma è pur vero che la mentalità, la cultura, la scienza e la tecnologia, evolvendosi, hanno permesso di rendere sempre meno invasivo, almeno a livello fisico, il periodo della riproduzione nella vita di una donna.
Il problema, quindi, si pone a livello politico perché è la politica che segna l"agenda collettiva e quindi marca gli argomenti del giorno. Nessuno di noi si sogna di chiedere, ad esempio, la presenza di ingegneri progettisti metà uomini e metà donne. A nessuno viene in mente che in una sala operatoria ci debbano essere interventi con chirurghi che si alternino; maschio-femmina. Nessuna rivendicazione di "quote rosa" avviene nei lavori usuranti, anzi.
Se così è si pone una domanda: perché la politica, allora, rivendica qualcosa che non è pervasiva nella società? Se la questione delle quote rosa non è una questione che attiene ogni ambito della vita quotidiana quali sono le ragioni che ne fanno una questione politica e, in specifico, di quote all"interno della rappresentanza politica?
Perché è una questione di "genere" ed probabilmente nelle società avanzate il "genere" vuole essere rappresentato in quanto tale. La presenza di donne in politica non significa nient"altro che la rappresentanza della donna. Niente di più, niente di meno altrimenti creeremmo delle incongruenze in tutti gli ambiti dove le donne non vogliono o non possono accedere. Non dimentichiamo, infatti, che in Italia nella popolazione occupata solo il 39% è donna e che solo nel 2005 e solo al Sud le donne hanno perso 40.000 posti di lavoro. Anzi esperti dell"Istat sostengono che le donne del Sud hanno proprio rinunciato a cercarlo, il lavoro: evidentemente esse non hanno neppure una nursery da mettere in piedi in quattro e quattr"otto come vogliono fare a Montecitorio per permettere a una deputata di allattare sul luogo di lavoro.
Grazie allo stato delle cose i generi sessuali comprendono tutto il resto (età, stato fisico, preferenze sessuali, religiose, meridionali, settentrionali ecc.) e quindi possiamo anche ipotizzare che risolta la questione delle quote rose non avremo una richiesta di quote giovani, quote anziani, quote scapoli e quote ammogliati, quote disabili, quote immigrati eccetera perché la quota rosa (con implicita la "quota azzurra") comprende tutti i "generi"... umani. Ma in politica solo la soluzione metà-metà – un uomo, una donna – dovrà essere ritenuta accettabile. Se così non sarà, allora le "quote rosa" non sono altro che una vecchia e stantia rivendicazione di un femminismo (e di una politica modernista da anni ottanta) per il quale la lotta tra i sessi è ancora imperante nella psiche di quelle donne (e quegli uomini). Ma per questo è consigliabile più la psicanalisi che la politica!
PS - Al più sarà da prevedere eventuali "quote ermafrodite".
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.