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Per tre volte ci ha salvati da crisi disastrose

Il pilota dell’economia mondiale

Greenspan è stato l’uomo più potente della Terra. La fine del suo "regno" chiude un’epoca

di Enrico Cisnetto - 26 ottobre 2005

E così, dopo oltre 18 anni, Alan Greenspan non sarà più al vertice della Federal Reserve, e da quella tolda alla guida dell’economia americana e mondiale. Il prossimo 31 gennaio, a 80 anni suonati, passerà la mano al successore che ieri il presidente Bush ha designato, Ben Bernanke. E se anche la politica monetaria della Fed dovesse rimanere identica a quella di Greenspan, senza di lui non sarà mai più la stessa cosa. Mi è capitato di scrivere a più riprese che il governatore della Fed è stato l’uomo più potente della Terra. Ora che, giocoforza, non lo è più, lo confermo. Greenspan è sempre stato un ottimo capo della banca centrale americana, ma è diventato “super” con l’esplodere della globalizzazione. E per ben tre volte è stato decisivo nel salvare l’economia globale – e quindi tutti noi – da un sicuro e drammatico disastro. La prima volta lo ha fatto nel 1998, quando vengono temporalmente a coincidere due crisi di straordinaria portata: il collasso finanziario della Russia di Boris Eltsin e il crack del Long Term Capital Management, che per la prima volta fa capire quanto possa essere pericolosa la finanza estrema sui derivati. Era il momento anche della crisi delle cosiddette “tigri asiatiche”, Giappone in testa, e il mondo agli albori della globalizzazione avrebbe potuto venire travolto dal concatenarsi degli eventi. Greenspan indusse Clinton ad aiutare l’ex impero sovietico in disfacimento, e chiuse il caso dell’hedge fund intervenendo sulle banche per coordinarne il salvataggio. “Se non l’avessimo fatto”, disse risoluto Greenspan davanti ai deputati che lo contestavano, “ci sarebbero state probabilità sostanziali di una crisi finanziaria globale di liquidità, con ripercussioni difficilmente valutabili”. Aveva ragione.

Il secondo intervento decisivo è stato a cavallo della fine del secolo. Era la primavera del 2000 quando il boom della Borsa, che con l’affermarsi della cosiddetta new economy era diventato irrefrenabile, cominciò la sua parabola discendente. Fu lui a “bucare” la bolla prima che scoppiasse, e con vera maestria evitò che lo sboom si trasformasse in un altro 1929. Naturalmente Greenspan sapeva che poco o nulla di razionale c’era nel sovvertire tutti i principi contabili, nel momento in cui si smise di valutare le società quotate non per la loro profittabilità economica e solidità patrimoniale, bensì sulla base di altri parametri, come il numero dei propri clienti (per esempio gli accessi internet). Ma lasciò che la net economy facesse da traino a tutta l’economia mondiale con quella straordinaria creazione di ricchezza (di carta) di cui fu capace, perchè sapeva che dopo la corsa degli anni Novanta, gli Usa e il mondo avevano bisogno di nuove occasioni di crescita. Salvo bloccare quel processo, con altrettanto cinismo e straordinaria freddezza, quando si accorse che il livello speculativo a Wall Street e più ancora nelle altre borse del mondo aveva raggiunto livelli insostenibili. Tutti smisero di guadagnare, molti ci lasciarono un po’ di penne, ma la tragedia finanziaria fu scongiurata.

Infine il momento sicuramente più drammatico. E’ l’11 settembre del 2001. Alla tragedia umana e politica dell’attacco fondamentalista alle torri gemelle di New York rischiava di aggiungersi l’implosione dei mercati finanziari di tutto il mondo. Greenspan chiamò la Bce e la Banca del Giappone, che con la Fed decisero di mettere in poche ore sul mercato qualcosa come 600 miliardi di dollari, una liquidità che insieme alla riduzione di mezzo punto i tassi d’interesse (praticata anche dalla Banca Svizzera) tagliò le gambe alla speculazione ribassista impedendo il tracollo. In quel drammatico frangente il roccioso Alan contribuì in modo decisivo a scrivere una delle sue pagine più belle e significative della storia del capitalismo. Gliene siamo grati, Mr. Greenspan, nella speranza che non venga mai il giorno in cui fossimo costretti a rimpiangerla.

Pubblicato sul Messaggero del 25 ottobre 2005

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